venerdì, Marzo 29, 2024

ITALIANI A TAVOLA MOLTO MEGLIO SE “FUORICASA”

Il “fuoricasa” è sempre più protagonista dei consumi alimentari degli italiani.
È quanto emerge dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe –
Federazione Italiana Pubblici Esercizi sull’andamento del settore e dei
relativi consumi nel 2016, presentato nel corso di una conferenza stampa
tenutasi presso la sede di Confcommercio di Milano – Lodi – Monza
Brianza a Palazzo Castiglioni. L’impatto della crisi sui consumi alimentari
in casa (-12% pari a una flessione di 18,4 miliardi di euro tra il 2007
ed il 2015) ha fatto sì che il peso della ristorazione sul totale dei consumi
alimentari guadagnasse qualche posizione smentendo così le suggestive
ipotesi che vorrebbero un ritorno ai consumi in casa a scapito di quelli
fuori le mura domestiche. Sono infatti 39 milioni gli italiani che hanno
dichiarato di aver consumato pasti fuori casa nel 2016 confermando l’immagine
di un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove al
contrario i consumi alimentari fuori casa hanno registrato una significativa
contrazione: nel nostro Paese nel 2016 è proseguito, secondo le stime
dell’ufficio studi Fipe, da un lato il calo dei consumi alimentari domestici
(-0,3%), dall’altro l’incremento di quelli fuori casa (+1,1%). “I dati relativi
al 2016 emersi dal Rapporto ha dichiarato Lino Enrico Stoppani, presidente
Fipe – confermano la ripresa dei consumi per il settore del fuori
casa e la centralità del lavoro nel settore, dimostrata dal forte aumento
dell’occupazione. L’incremento occupazionale è stato inoltre favorito
dallo strumento dei voucher, una risorsa vitale per un settore caratterizzato
da stagionalità e picchi di lavoro imprevedibili. Una scelta all’insegna
della trasparenza che ha contribuito a far emergere il lavoro irregolare
e creare nuove opportunità occupazionali per i giovani, garantendo
i contributi INPS e copertura assicurativa. Una guerra contro i voucher
nella ristorazione è totalmente sbagliata, anche se condividiamo la necessità
di alcuni correttivi per contrastare gli abusi”. “Nel 2016 inoltre – prosegue
Stoppani – si è registrata un’elevata mortalità di imprese e un
abbassamento della qualità, soprattutto a causa di un eccesso di offerta
nel settore, dimostrata dall’elevato numero di esercizi take away, per
nulla legati alle tradizioni gastronomiche delle nostra città, che spesso
mettono a rischio anche l’identità e l’attrattività dei nostri centri storici”.
Interessante da questo punto di vista risulta la fotografia del settore dei
pubblici esercizi scattata dal Rapporto: se da un lato, infatti, la rete nel
2016 si è ampliata grazie all’apertura di 20.184 nuove attività (+8,1%
rispetto al 2008), dall’altro il livello qualitativo dell’offerta si è abbassato
soprattutto nei centri storici italiani, dove si è acuita la contrapposizione
tra l’incremento di attività di ristorazione take away del 41,6% e la riduzione
dei bar del -9,5%. A differenza di quanto emerso nelle ultime settimane,
durante le quali prodotti di punta del consumo alimentare fuori
casa come la tazzina di caffè al bar sono diventati i bersagli principali
della denuncia di aumenti straordinari ed ingiustificati, un’attenta analisi
dei dati porta a conclusioni assai diverse. Nel 2002 la rilevazione del
prezzo della tazzina di caffè al bar effettuata sui listini dei bar in diverse
città campione forniva un prezzo medio di 1.533 lire, che convertite in
euro davano 0,79. I prezzi rilevati dall’Osservatorio Prezzi a novembre
2016 sulle stesse città indicano un valore medio di 0,98 euro: il risultato è
un incremento del 24%

Redazione
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