sabato, Aprile 27, 2024

Processo Vannini, si torna in aula il 21 marzo

LADISPOLI – È stata fissata per il 21 marzo la nuova udienza del processo Vannini, relativo alla morte del giovane di Cerveteri deceduto poche ore dopo essere stato colpito da una pistola calibro 9 durante una cena di famiglia, in casa di Antonio Ciontoli a Ladispoli. Durante l’udienza del 21 marzo, il pm chiederà la pena. Il 4 aprile si svolgerà la discussione e per il 18 aprile è invece attesa la sentenza.
Il processo, per il quale al momento si sono svolte almeno una decina di udienze, sta entrando nella fase finale. Oggi in aula sono stati ascoltati i testimoni del pubblico ministero, testimoni delle parti civili e gli imputati. Chiamati oggi a fornire la propria versione dei fatti sono stati il dottor Giuseppe Tornese, medico rianimatore, Cinzia Manzo, infermiera del 118 del’elisoccorso, il dottor Matera, medico del pronto soccorso che era presente la notte del 16 maggio, e il colonnello Vincenzo Camporini, superiore di Antonio Ciontoli che non ha fornito la propria testimonianza per impegni istitutuzionali e verrà ascoltato a marzo.
Gli avvocati della difesa hanno chiesto alla corte di ascoltare ulteriori periti e testimoni per ampliare il quadro degli elementi emersi finora. Una richiesta alla quale la corte ha posto una limitazione circa il numero, che avrebbe allungato il processo con ulteriori udienze. Respinta inoltre, nella giornata di oggi, la richiesta di riprodurre lo sparo ritenuta inutile e impossibile da ricostruire precisamente.
In primo piano nell’udienza odierna la testimonianza del medico: «Quando è arrivato Marco – ha detto il dottor Giuseppe Tornese – un uomo qualficatosi come carabiniere ha detto che si trattava di una ferita d’arma da fuoco superficiale e che il suo stato era dovuto alla paura’’.
«I presenti riferivano – ha detto il medico – che il ragazzo era un appassionato di armi e che avrebbe gareggiato con il suocero». A chiedere chi fosse il carabiniere è stato l’avvocato Gnazi che ha chiesto al medico di dire chi fosse l’uomo ma il dott. Tornese ha risposto che il carabiniere era in borghese.
Si è ripercorsa, durante l’udienza, la scena del Pit la sera di maggio in cui è morto Marco. «Marco era agitato – ha spiegato il dottor Matera – gridava "Massimo aiutami" e "Mamma". Lo abbiamo visitato per capire perchè fosse agitato. Vista la ferita laterale, Marco è stato visitato e cambiato e cercato il foro di uscita e non corrispondeva a quanto detto con la diagnosi. Il carabiniere ci ha detto quindi della calibro 9».
(seapress)

Redazione
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