martedì, Marzo 19, 2024

C’era una volta Sergio Leone

di Alessandro Ceccarelli

La notte tra il 29 e il 30 aprile del 1989 moriva il regista e produttore Sergio Leone. Il cineasta romano stava vedendo con la moglie il film "Non voglio morire" di Robert Wise nella sua villa romana nel quartiere dell’Eur. Improvvisamente l’artista disse alla moglie: "Cara, non mi sento bene….." e si accasciò di fianco sul divano. Un attacco cardiaco aveva posto fine alla vita di uno dei più grandi protagonisti del cinema italiano ed europeo del XX Secolo. Si trattò di una dipartita che lasciò il mondo del cinema di stucco: il regista romano stava lavorando da diversi anni al suo nuovo grandioso progetto cinematografico: un film epico sull’assedio di Stalingrado. Sergio Leone aveva da poco compiuto 60 anni e nel corso della sua carriera aveva girato solamente sette pellicole.

Una vita intrisa di cinema
Nella storia del cinema italiano, Sergio Leone occupa un posto speciale, le sue opere sono memorabili esempi di un personalissimo modo di intendere il cinema e la vita. Il regista romano amava le storie epiche ricche di personaggi caratterizzati da una profonda dignità e di un’immensa umanità. Sergio Leone ha avuto il coraggio di sfidare Hollywood su un genere identitario della storia americana: il western e i miti che lo hanno popolato in oltre cento anni di storia del cinema. Il western di Leone non era però una semplice imitazione. L’operazione del cineasta è stata quella di “assimilarlo” e poi “partorirlo” in una veste e con uno sguardo europeo e italiano. La cosiddetta “trilogia” del dollaro stupì l’industria di Hollywood. Il western “conclusivo” di Leone (C’era una volta il west), girato nei luoghi sacri di John Ford, fece di lui un autore classico della settima arte. Cerchiamo di ripercorrere la straordinaria carriera di un cineasta innovativo.
Sergio Leone nasce a Roma il 3 gennaio del 1929. E’ figlio d’arte, il padre era stato uno dei pionieri del cinema muto mentre la madre è un’attrice. Sin da piccolo Sergio “respira” quotidianamente l’aria dei set cinematografici. A 19 anni appare brevemente in “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica. Poi si “fa le ossa” lavorando come aiuto regista e direttore della seconda unità in numerosi “b-movie” che all’inizio degli anni Cinquanta si giravano a Cinecittà. In questo periodo si fa notare come un ottimo assistente in “Quo Vadis” (1951), “Elena di Troia” (1955) e “Ben Hur” (1959).

Nel 1960 ebbe la possibilità di debuttare alla regia con “Il Colosso di Rodi” che sfruttava il momento di popolarità dei film in costume. Gli incassi al botteghino furono incoraggianti pur essendo un’opera prima girata con un basso budget. Per il secondo film Leone – scoraggiato da molti produttori – decise di voler fare un western. Il genere era considerato in declino anche negli Stati Uniti, sinora unico depositario di storie di cowboy. Il regista era determinato nel suo progetto: innanzitutto doveva avere un basso costo grazie ad un cast senza star (Clint Eastwood era sconosciuto), Gian Maria Volontè era famoso in teatro, ma non era ancora popolare al cinema. Infine per gli esterni si decise di girarlo in Spagna, dove i costi all’epoca erano contenuti.

La consacrazione mondiale con la "trilogia del dollaro" e la rinascita del western
Contro ogni previsione “Per un pugno di dollari” (1964) fu un trionfo incredibile al botteghino, incassando oltre 3,4 miliardi di lire. Una cifra astronomica per quei tempi. La critica rimase molto colpita dallo stile del giovane regista che aveva fatto molti cambiamenti estetico-visivi al genere western. Innanzitutto un montaggio estremamente curato, caratterizzato dai primissimi piani degli attori, i lunghi momenti dei duelli e poi i particolari degli effetti devastanti delle pallottole che impattano sui corpi. Cose che non si erano mai viste nei western statunitensi. Le musiche di Ennio Morricone colpirono molto per la loro funzione drammatica. Le sue colonne sonore sono entrate di diritto nell’immaginario collettivo del cinema di tutti i tempi.
Sergio Leone aveva già in mente una trilogia. Ed ora che gli enormi incassi gli avevano dato mano libera, mise subito in cantiere il seguito. Nel 1965 uscì l’attesissimo “Per qualche dollaro in più”. Questa volta, grazie ad un budget più ampio, il regista può garantirsi due eccellenti caratteristi come Lee Van Cleef e Klaus Kinski oltre alla riconferma di Clint Eastwood e Gian Maria Volontè. Più curato nei dettagli e nella storia, il secondo capitolo della trilogia è ancora una volta un trionfo nelle sale: supera i 3,6 miliardi di lire. Ormai Clint Eastwood è una star, prima in Italia che nel suo Paese d’origine. Ancora una volta sono determinanti le musiche di Ennio Morricone, il vero riferimento creativo per Sergio Leone. Per il terzo capitolo crescono ancora le ambizioni. E’ scritturato un grande attore come Eli Wallach (straordinaria la sua recitazione in “Gli spostati” di John Huston), l’ottimo Aldo Giuffrè oltre i “soliti” Clint Eastwood e Lee Van Cleef. La vicenda, sempre incentrata sul denaro si snoda durante la guerra di Secessione che insanguinò gli Stati Uniti tra il 1861 e il 1865. “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966), non sbaglia al botteghino, oltre tre miliardi e mezzo di lire e passa alla storia per il celeberrimo “triello” finale fra i tre protagonisti (il montaggio della lunga sequenza è materia di studio nelle università del cinema statunitensi) e per il suggestivo e maestoso commento sonoro di Ennio Morricone.
L’ascesa di Sergio Leone è ormai inarrestabile. Il suo nuovo progetto è una sorta di omaggio al grande maestro di sempre: John Ford. Per “C’era una volta il west”, il regista non bada a spese. Il film è infatti un kolossal. Riprese nella Monument Valley e un cast straordinario composto da Henry Fonda, Charles Bronson e Jason Roberts. La grande novità stilistica è che il protagonista del film è una donna: la splendida Claudia Cardinale. Tutti i personaggi ruotano intorno alla sua figura. Per la sceneggiatura Sergio Leone chiamò due giovani talenti: Bernardo Bertolucci e Dario Argento, registi di grande successo negli anni Settanta.
Il cineasta ebbe l’ambizione di raccontare la storia del western in una pellicola dai tempi lenti e dilatati, una sorta di sinfonia nel deserto. Un film crepuscolare dai toni epici. Fondamentale come sempre nell’impianto narrativo fu la solenne e straordinaria colonna sonora di Ennio Morricone. Se parte della critica parlò del film come di un capolavoro, gli incassi questa volta furono inferiori: circa due miliardi di lire. Forse parte del pubblico non gradì molto i toni colti e intellettuali della pellicola. I primi tre film erano più semplici, popolari; spesso definiti “spaghetti western”. Dopo questo importante film, Sergio Leone nel 1969, sempre negli Stati Uniti, contattò Warren Beatty per una storia di gangster. Il regista aveva letto il libro “A mano armata”, storia di un bandito ebreo di New York ambientato tra gli anni trenta e gli anni ’60.
l divo americano era impegnato in altri film e il progetto fu messo nel cassetto. Il regista allora s’impegnò nel progetto di “Giù la testa”. All’inizio voleva solo produrlo per lasciare la regia a un giovane talento americano, Peter Bogdanovich che aveva ottenuto un grande successo di pubblico e di critica per il suo primo film “L’ultimo spettacolo”. Il sodalizio tra i due non andò bene e il collega americano abbandonò il progetto che venne preso da Sergio Leone. Il regista scelse come protagonisti Rod Steiger e James Coburn. Accanto a loro, uno straordinario Romolo Valli. “Giù la testa” (1971) fu il film più politico della carriera del regista, anche se il tema centrale è il rapporto tra l’amicizia e l’ideologia. Se la prima parte del film è caratterizzata da toni ironici e brillanti; quasi da commedia all’italiana, il registro cambia progressivamente quando i personaggi devono fare i conti con scelte dolorose. Il film diventa nostalgico e struggente. Rimpianti e rimorsi la fanno da padrone in un finale tragico ed epico nell’eroico sacrificio di James Coburn, un rivoluzionario idealista e disilluso. Ovviamente protagonista assoluta è la musica di Sergio Leone, che tocca un nuovo picco artistico.
Le profonde riflessioni esistenziali di “Giù la testa” non sembrarono essere gradite dal pubblico: il film incassò meno del suo predecessore. Sergio Leone, deluso, si prese una lunga pausa, occupandosi sempre di cinema ma non in prima persona. Ormai aveva in testa il sogno della sua vita. Quel film “definitivo” sul mito americano che sarà il suo testamento umano e artistico. Tra “Giù la testa” e C’era una volta in America”, passano dodici anni in cui il regista si occupa di produrre “Il mio nome è nessuno” (1973), “Un genio, due compari, un pollo” (1975) e “Il giocattolo” (1979).
All’inizio degli anni ’80 è avviata la fase produttiva per il suo nuovo film come regista. Al centro del progetto gravita la figura decisiva della pellicola. Per avere Robert De Niro, il regista deve aspettare che la star si liberi dei suoi numerosi impegni. Le riprese finalmente partono nel 1983. Il budget è molto alto, circa trenta miliardi di lire, ed è per questo un rischio. Leone vuole il meglio del meglio in ogni settore. Per la sceneggiatura crea un pool di grandi autori come Benvenuti, De Bernardi, Medioli, Arcalli e Ferrini. Per la fotografia si avvale della maestria di Tonino Delli Colli, il “poeta della luce”. Per il montaggio (elemento fondamentale del film) il numero uno in Italia, ovvero Nino Baragli. Per i costumi scrittura il genio artistico di Gabriella Pescucci, futuro premio Oscar per Bertolucci. Infine chiama ancora una volta l’amico Ennio Morricone. In questo specifico film le sue musiche sono composte prima delle riprese. Un espediente inusuale che farà scuola nel mondo. Per ogni personaggio Morricone scrive un tema musicale. E le sue note sono impiegate durante i ciak. Robert De Niro rimase molto colpito da questo espediente e disse in seguito: “Senza le musiche di Ennio, sarebbe stato impossibile girare le scene”.
Oltre a Robert De Niro, il cast è composto da attori straordinari: James Woods, Elizabeth McGovern, Danny Aiello, Treat Williams, Burt Young, Joe Pesci e Tuesday Weld. I problemi, causa di amarezza e delusione per Sergio Leone, arrivarono dal produttore Arnon Milchan, che per il mercato americano tagliò di oltre un’ora la lunghezza originale del film. Questo “massacro” del montaggio fu la causa del flop al botteghino negli Usa. In Italia nella versione integrale di tre ore e quaranta andò meglio ma non ricoprì i costi della produzione.
“C’era una volta in America” è il film in cui Sergio Leone ha profuso tutte le sue energie, tutto il suo sapere e tutto il suo amore per l’America. E’ una storia di gangster che percorre trent’anni di storia attraverso, il proibizionismo e la disillusione del mito americano. Su tutto il tema dell’amicizia virile così caro a Sergio Leone. Dopo l’immane fatica di “C’era una volta in America”, Leone si entusiasmò per un film epico sull’assedio di Stalingrado. Ancora una volta si trattava di un progetto grandioso pensato per l’amico Robert De Niro. La sera del 30 aprile del 1989 si addormentò per sempre mentre stava vedendo “Io non voglio morire”.

Redazione
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