venerdì, Marzo 29, 2024

Pubblica amministrazione, si dilatano i tempi dei pagamenti

Da inizio anno ad oggi sono tornati ad aumentare i tempi medi di pagamento della nostra Amministrazione pubblica. Se nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall’emissione della fattura – contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie – nell’anno in corso la media è salita a 104 giorni. E’ quanto emerge da una elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia. La stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni come previsto dalla legge), è che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dalla Pa. Sul fronte dei dati sui tempi medi di pagamento, il confronto con i risultati dei principali paesi europei è impietoso. Mentre in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre nel Regno Unito si è attestato a 26. "Siamo maglia nera in Ue e nonostante le promesse fatte in questi ultimi anni – dichiara Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi – gli enti pubblici continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficoltà soprattutto le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. E sebbene da almeno 3 anni chi lavora per il pubblico ha l’obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell’Economia non è in grado di stabilire a quanto ammonta complessivamente il debito commerciale della nostra Pa; una situazione surreale" osserva.
La Cgia sottolinea poi che dall’inizio del 2015 ha fatto il suo "debutto" lo split payment. Questa misura obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1° luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obbiettivo è stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca IFIS nel 2017 sono state circa 1 milione, non la versino al fisco. Il meccanismo ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che vedere. Vale a dire la quasi totalità delle imprese. "La nostra Pa – afferma il segretario della Cgia Renato Mason – non solo paga con un ritardo inaudito e quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore". Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, "pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole aziende", conclude.

Redazione
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