venerdì, Marzo 29, 2024

“Il profilo di Caravaggio -Il Genio e l’Uomo”,da oggi la mostra al Centro di Arte e Cultura

 

“Sono molto felice di annunciare questa mostra, ispirata al Caravaggio, di alcuni tra i più grandi pittori contemporanei della scena artistica nazionale che si terrà dal 3 al 17 settembre presso il Centro Arte e Cultura di Ladispoli”. Con queste parole l’assessore alla Cultura Marco MIlani ha annunciato l’imminente apertura della mostra, curata da Pier Luigi Manieri, “Il Profilo di Caravaggio-il genio e l’uomo” che sarà visitabile dal 3 settembre alle ore 18:30. “Ospite d’onore – ha proseguito Milani – il Maestro Venanzoni, autore di opere dedicate alla vita del Merisi (tra l’altro in mostra in questo periodo a Sutri, voluto da Sgarbi). Un altro omaggio che Ladispoli fa al grande pittore lombardo che proprio qui da noi, a Palo, fu arrestato nel luglio del 1610”. Un gruppo selezionatissimo di artisti, tra i più rappresentativi della scena contemporanea (Lidia Bachis, Pasquale Nero Galante, Easypop, Montuschi & Rapiti, Esteban Villalta Marzi, Lucio Fabale, Omino 71,Giampaolo Atzeni)  è stato chiamato a rileggere le opere di Caravaggio, ispirarsi ai suoi lavori o alla sua vita, recuperarne la tecnica e l’essenza, dando vita ad una collettiva che ne rifletta il genio e l’anima. La mostra che è aperta al pubblico dalle ore 10:00 alle 19:00, dalle 16:30 alle 18,30 propone anche un’attrazione dal notevole impatto divulgativo: una sala in realtà virtuale in cui immergersi nell’arte del grande artista. A corredo della collettiva  un approfondimento sulla figura del Caravaggio a firma di Riccardo Rosati, saggista e museologo. L’inaugurazione della collettiva il 3 settembre alle 18:30.

 

Di seguito la nota del curatore

della mostra Pier Luigi Manieri

Michelangelo Merisi, più noto come il Caravaggio, sta alla storia dell’arte, come le invenzioni del fuoco, della vela, del motore, stanno ai progressi scientifici. Il genio Lombardo deflagrò nel Barocco come un evento rivoluzionario. Tant’è che per quanto misconosciuto fino all’essere dimenticato per poi essere riscoperto solo nel 900, la sua eredità non meno della sua lezione, sono sopravvissute intatte sino ai nostri giorni per illuminarci. In senso tanto metaforico quanto letterale, Caravaggio s’impone all’attenzione introducendo elementi, codici; stilemi di assoluta forza immaginifica. Ricolloca la Santità sulla Terra, là dove l’uomo medio possa vederla, toccarla, a sua immagine e somiglianza. Una santità sofferta nella sua umana e carnale fragilità. Costituita da ossa e nervi guizzanti e tuttavia intrisa di una solennità che incute rispetto e reverenza. Che commuove nel profondo e eleva nella illuminazione. Confermandosi perciò è indiscutibilmente nella più assoluta forma della pittura sacra e religiosa (Crispino Valenziano); esplora la vita nella sua quotidianità. Coi suoi piccoli e immani vizi, malattie, malformazioni, gioie e stupefazioni. Nel volgere lo sguardo al Mito, s’interroga sulla sua fugacità. La grandezza di Caravaggio si palesa nel suo essere seminale per artisti che in lui hanno trovato propellente per la propria arte. Valga per tutti George’s de la Tour. Tutto ciò che costituisce l’estetica caravaggesca si definisce nella più assoluta perfezione formale. E soprattutto, nella luce e, per contro, nell’oscurità. Caravaggio intuisce e traccia i principi della fotografia. La sua mise en scene è talmente “logica” che diviene d’ispirazione per il teatro stesso. Del resto il suo genio riverbera tuttora nelle discipline visive. A lui guarda senza farne mistero, Matteo Garrone e vi sono rimandi evidenti, nello stesso cinema di Sorrentino. Se sul piano artistico Caravaggio è ascrivibile a pieno titolo e a buon diritto – e dirlo non spetta certo a chi scrive – a quella ristretta schiera di pesi massimi la cui azione si distingue per un’unicità senza tempo né confini, non meno affascinante e meritevole di narrazione è la vita da romanzo di Michelangelo Merisi. Il Profilo di Caravaggio-il genio e l’uomo si propone come esposizione-omaggio a questa figura che più che centrale, si direbbe, piuttosto, indispensabile nella vicenda e nell’evoluzione della medesima relazione tra l’umanità e l’arte. Il cui contributo, per dirla col Marino, non smette di meravigliare chi davanti le sue opere, inevitabilmente e fatalmente estasiato, si pone. Il progetto in memoria di Caravaggio, il quale soggiornò e forse morì nella cittadina balneare, nasce dunque “Il profilo del Caravaggio, il genio e l’uomo”. Un gruppo selezionatissimo di artisti, tra i più rappresentativi della scena contemporanea sarà chiamato a rileggerne le opere, ispirarsi ai suoi lavori o alla sua vita, recuperarne la tecnica e l’essenza, dando vita ad una collettiva che ne rifletta il genio e l’anima. Un’immersione assoluta e un’esplorazione definitiva dell’artista e dell’uomo la cui instancabile opera ha modificato il concetto stesso di pittura fissandone nuovi ed universali punti cardinali. Per queste ragioni la sfida è irresistibile. Mediato attraverso stile e sensibilità personali, ciascun artista consegna all’occhio del visitatore il “suo” Caravaggio. Il quale, travalicando confini temporali e steccati dogmatici si sublima attraverso la metafisica, il surrealismo, il concettuale e la Pop Art. Alimentando quel circolo virtuoso che è insito nel concetto di arte che genera arte. Con L’ultimo approdo, Lidia Bachis, struttura e destruttura su un piano filologico concettuale, la vicenda umana e professionale del Caravaggio, che quasi metapittoricamente è colto nel gesto di ritrarsi. In quest’opera di sintesi dalla significativa forza evocativa , I bari, lavoro giovanile del Caravaggio, si combina col San Girolamo, di cui si riconosce il teschio, forse l’ultima creazione del Merisi. Nell’ambito dell’estetica citazionista propria della scena pop, che nella ricerca di Lidia Bachis ha una matrice significativamente manga, la contaminazione trova forma nel recupero della celebre onda di Hokusai, precursore del tratto nipponico, che nell’Ultimo approdo evoca il mare dal quale arrivò sulla costa di Palo per trovarvi forse la morte. Destino che come un presagio incombe sul quadro e sul Caravaggio stesso mediante le due formazioni di nero assoluto in luogo dei giocatori. Easypop restituisce il suo Narciso trasfigurandolo nel “riflesso nello stagno-ego e alter ego”. Opera iconica e densa di enigmatico surrealismo figlia dell’immaginario di due generazioni: un contemplativo Hiroshi, così lontano dal furore della battaglia osserva il suo altro io, Jeeg e da esso è a sua volta scrutato. Il tutto è come ammantato in una innaturale sospensione. Così come Narciso osserva l’altro sé stesso, vicino e simultaneamente lontanissimo. Sogno di una notte di mezza estate? O forse un doppelgänger da una dimensione parallela e speculare, nel lavoro a quattro mani di Giancarlo Montuschie Maurizio Rapiti, dall’afflato metafisico che felicemente si coniuga con la forma classica della figurazione. Ma chi è realmente chi? Esteban Villalta Marzi esponente tra i più autorevoli della scena pop europea combina nel suo lavoro storicizzato, Polidoro con Caravaggio. Dal primo prende in prestito il soggetto che nelle sue mani si plasma dando vita ad altro. A Caravaggio “ruba’ l’oscurità e la luce con l’Uomo d’acciaio al suo centro: Il ratto di Superman. Per Lucio Fabale, Caravaggio è a tutti gli effetti un’icona pop, quindi combinando la lezione di Warhol con la sua riconosciuta estetica del pixell moltiplica efficacemente l’immagine del Merisi così come il padre della Pop Art insegna. Ma Michelangelo Merisi, il Caravaggio, fu già icona popolare quando l’Italia era monetariamente sovrana. Ce lo ricorda Omino 71, che nel segno della riproducibilità pop, moltiplica e rimette “in circolo” la celebre banconota da 100.000Lire (che fu anche l’ultima), col volto dell’artista. Giampaolo Atzeni dà luce ad una Natura morta più viva che mai. Psicadelica e visionaria adornata da serpenti che rimandano alla Medusa e un’abbondanza di teschi. Così come la Medusa e il suo groviglio di serpi animano un’altra opera di Omino71. Se la fisicità nervosa e il rigore caravaggesco rivivono nelle tele di Pasquale Nero Galante, la Bachis e Fabale si concentrano su Il Martirio di San Matteo e La Decapitazione di Giovanni Battista. Al Maestro Guido Venanzoni, il più autorevole caravaggista a dimensione mondiale, impegnato nella ricostruzione della vita di Caravaggio attraverso una serie di dipinti che ne raccontano l’esistenza è invece affidata la testimonianza d’autore affinché l’arte ci ricordi che in fondo e sopra ogni cosa, è bellezza. A corredo della collettiva un approfondimento sulla figura del Caravaggio a firma di Riccardo Rosati, saggista e museologo. “Prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell’equilibrio che regola l’universo tutto. In questa magia l’anima mia risuona dell’Unico Suono che mi riporta a Dio.” (Caravaggio).

 

Di seguito il testo

critico di Riccardo Rosati

“La luce non muore mai – Tra Sacro e profano, la continua attualità di Caravaggio” – Ci sono alcuni personaggi nella storia del Bello (amiamo mettere la maiuscola a questa parola, come ci ha insegnato il nostro Maestro Francesco Sisinni), i quali, malgrado conosciuti dai più, fosse anche solo per sentito dire, restano un mistero. Nondimeno, le loro opere le abbiamo tutti viste e riviste. Figure come queste possono essere sintetizzate con un aforisma del caustico scrittore austriaco Karl Kraus (1874 – 1936): “Artista è soltanto chi sa fare della soluzione un enigma”. Michelangelo Merisi (o Amerighi, 1571 – 1610), detto Caravaggio, rientra appieno in tale categoria. Perennemente alla ribalta in mostre e documentari televisivi, il sommo pittore lombardo non è così “scontato” come si vorrebbe far credere. Cresciuto alla bottega del Cavalier d’Arpino (al secolo, Giuseppe Cesari), il giovane Merisi si distinse subito per la sua unicità, arrivando presto alla Corte Papale, con quel Paolo V Borghese che lo protesse in varie occasioni, visto che le sue rappresentazioni non solo uscivano dalle modalità canoniche nel ritrarre temi sacri, ma anche e soprattutto per la inquietudine che quelle tele comunicavano. Sarebbe a dire, una passione improvvisa, folgorante, che trascende, ieri come oggi, l’apprezzamento puramente razionale, per arrivare dritto al nervo scoperto dell’Io. Questa sorta di “miracolo” emotivo in Caravaggio non lo si deve però a codici misterici o rimandi alchemici. Tutt’altro, egli scelse di utilizzare l’elemento senza il quale la nostra vita cederebbe all’oblio: la luce! Mai come adesso, la società deve tutto alla osservazione, benché perlopiù superficiale e distratta, come è stato intelligentemente fatto notare anni or sono da Giovanni Sartori nel suo importante volume Homo Videns (1997), ove sistigmatizza la “videobanalità” della moderna comunicazione. Pertanto, un artista immediatamente riconoscibile come Caravaggio è divenuto in buona misura iconico: entrando in una sala di un museo o di una esposizione, l’occhio viene subito catturato da una sua opera, la quale si distingue chiaramente da quelle degli altri pittori che la circondano. Questa potenza visiva il Merisi la sviluppò con metodico impegno, e non certo con quell’estro “selvaggio”, per alcuni addirittura folle, come sovente viene descritto. Invero, nel raccontarlo si è da tempo presa la deteriore abitudine di associare la sua arte con la sua vita a dir poco movimentata, allo scopo di rendere Caravaggio maggiormente appetibile per il gusto istintivo del fruitore medio contemporaneo. Insomma, lo si è voluto commercializzare, renderlo bohémien, persino pop! Qui giunge il significato di questa mostra; ossia, nel ripercorrere per l’appunto in chiave pop le sue tele, si offre al pubblico non una mera e sterile provocazione, bensì la opportunità di scoprirle sotto una veste diversa, divertita, ma non frivola. L’intento del Curatore, Pier Luigi Manieri, è infatti quello di palesare quanto le immagini presenti nelle pitture di Caravaggio siano sì iconiche, ma non tanto per la loro audacia nel mostrare santi dai piedi sporchi e donne di malaffare abbigliate alla maniera della Vergine Maria. Al contrario, si vuole dimostrare come i suoi quadri ci risultino continuamente attuali grazie a delle straordinarie campiture di nero, letteralmente squarciate da raggi di luce che vanno a illuminare, quasi fossero degli spot del cinema, il tema sacro narrato da Caravaggio. Un esempio lampante ne è la Flagellazione di Cristo (1607 – 1608, olio su tela) del Museo di Capodimonte a Napoli. Ammirando il dipinto, pare effettivamente di avere davanti un fotogramma di un film, di una scena in movimento catturata in un fugace frammento. La luce cala dall’alto, a esaltare il biancore dell’incarnato del Cristo martirizzato. Non abbiamo bisogno di interpretazioni di sorta, poiché il tutto ci arriva con immediatezza, come se questa immagine parlasse un linguaggio a noi familiare. Va ricordato, tuttavia, che la fortuna di Caravaggio è un fatto abbastanza recente. Se è attualmente condiviso da critica e spettatori il considerarlo un indiscusso Maestro, ciò lo si deve all’acume di Roberto Longhi – a nostro avviso il più grande storico dell’arte del XX secolo con Federico Zeri – il quale, dopo secoli di anonimato, diede il via all’inizio degli anni ‘50 a una sua sistematica rivalutazione. Prima di allora, il genio del Merisi restava sottostimato, giudicato come un “peculiare” autore italiano che aveva appreso dai fiamminghi la lezione del chiaroscuro. Non si comprese in realtà che Caravaggio volle introdurre una prospettiva nuova, con cui si prefiggeva di esprimere le forme tramite la luce, dialogando in modo diretto col “guardante”, per dirla con Wilhelm Worringer (1881 – 1965). Il buio ricorrente nelle sue opere costringe a concentrarsi sui protagonisti rappresentati, guidando lo sguardo come in una inquadratura. Inoltre, se è corretto individuare talora nei suoi lavori un posizionarsi al limite tra Sacro e profano, questo comunque non dovrebbe essere inteso come un desiderio di stupire, ma piuttosto un tentativo di comunicare eludendo la retorica che connotava la iconografia religiosa dell’epoca. D’altronde, il Divino nel Merisi è manifesto e vigoroso, magari “messo in scena” in modo teatrale, ma rimane pur sempre solenne, benché riportato alla dimensione umana, offrendosi costantemente attuale. Del resto, sono assai pochi i quadri come la Madonna dei Palafrenieri (1606, olio su tela, Galleria Borghese, Roma) capaci di rendere icastico il prevalere di Cristo sul Demonio. Come in una istantanea fotografica, Caravaggio coglie il singolo gesto, donando movimento a una immagine statica. Il grande John Ruskin (1819 – 1900) sosteneva che l’Arte è tale quando si “mostra onestamente”, senza necessità di filtri o interpretazioni, come avvenne durante quel Medioevo a lui così caro. Domandiamoci quindi: ammirando una opera di Caravaggio, sentiamo la necessità di consultare una guida? Di chiedere delucidazioni a un esperto? No. Ci è sufficiente guardare, “riattivare la lettura visiva del mondo”, come soleva dire Italo Calvino. L’occhio si sente orfano quando privato della luce, e si esalta per lo stimolo conferito dai contrasti. Michelangelo Merisi questo lo aveva compreso bene, dipingendo per un oggi che non termina mai. Una pittura, la sua, che trionfa sulla diacronia.

Redazione
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