sabato, Aprile 20, 2024

Lucio Battisti, vent’anni fa la morte ma le sue canzoni rimangono per sempre

di Alessandro Ceccarelli

Lucio Battisti rimane uno degli artisti italiani più misteriosi, riservati e inaccessibili, sicuramente è l’unico cantante e musicista che non fece mai concerti dall’uscita del suo primo 45 nel 1966 sino alla pubblicazione del suo ultimo album nel 1994. Insieme a Mina è probabilmente il compositore che ha sempre avuto enormi problemi di comunicazione con la stampa e in qualche modo anche con il pubblico che in larghissima parte gli fu devoto e affezionato. La sua carriera è stata coraggiosa e innovativa grazie alla sua forte determinazione: credeva fermamente nelle sue qualità di compositore, musicista e arrangiatore. Grazie al sodalizio con il paroliere Mogol (dal 1966 al 1980) Lucio Battisti ha scritto alcune tra le più belle ed emozionanti pagine della musica popolare italiana. Nella sua carriera ha pubblicato 20 album in studio, 22 45 giri e 24 antologie. I suoi album hanno venduto circa trenta milioni di copie e se comprendiamo i singoli si arriva a cinquanta milioni fra cd e vinili.
Il mondo dell’informazione e i suoi fans ebbero le prime vaghe notizie sulle sue condizioni di salute verso le fine di agosto. La conferma avvenne il 29 agosto quando divenne di dominio pubblico il suo ricovero presso una non precisata clinica milanese. Dopo ben undici giorni dal suo ricovero la famiglie non fece diffondere nessun bollettino medico sulle sue condizioni. Il 6 settembre avvenne il primo colpo di scena: Battisti è grave e per questo due giorni dopo viene trasferito d’urgenza in terapia intensiva presso l’ospedale San Paolo. Il musicista muore la mattina del 9 settembre all’età di 55 anni. Le cause della morte non sono state comunicate ufficialmente: il bollettino medico riporta solamente che “il paziente, nonostante tutte le cure dei sanitari che lo hanno assistito, è deceduto per intervenute complicanze in un quadro clinico severo sin dall’esordio”. Secondo alcune voci non confermate il musicista sarebbe morto per linfoma maligno che aveva colpito il fegato; altre voci affermarono che avesse sofferto di glomerulonefrite (grave forme di insufficienza renale). Ai funerali, che furono celebrati in forma strettamente privata a Molteno, furono ammesse appena 20 persone, tra le quali Mogol. Come in vita Lucio Battisti se ne andò in punta di piedi, in un breve e assordante silenzio che risulta difficile da comprendere e spiegare anche perché l’artista è stato uno dei più popolari nella storia della musica leggera italiana insieme a Claudio Baglioni, Lucio Dalla, Gianni Morandi e pochi altri.
Non è esagerato paragonare a livello creativo e umano il duo Battisti-Mogol con il britannico Lennon-McCartney. In entrambi i casi prima della scrittura dei testi, delle note, degli accordi e degli arrangiamenti c’era uno strettissimo legame di amicizia che comprende la reciproca stima, un affetto sincero e profondo e una capacità di creare canzoni di straordinario valore artistico e grande successo popolare che non hanno eguali nel mondo per i Beatles e in Italia per Lucio Battisti e Mogol. John Lennon e Paul McCartney dal 1961 al 1970 hanno scritto con “estrema facilità” il 95 per cento dell’intero repertorio del quartetto di Liverpool. Stiamo parlando di brani immortali come “Yesterdays”, “Help”, “Michelle”, “And I love her”, “In my life”, “Hey Jude”, “Strawberry field foverer”; “Let it be”, “Come together”, “Eleonor Rigby” e tantissime altre canzoni che rimarranno per sempre nell’immaginario collettivo dell’umanità. Lucio Battisti e Mogol, separatamente, hanno composto e scritto canzoni che hanno profondamente segnato le generazioni degli ultimi cinquant’anni del nostro Paese. Brani come “Non è francesca”, “Mi ritorni in mente”, “Fiori rosa, fiori di pesco”, “Emozioni”, “Pensieri e parole”, “La canzone del sole”, “I giardini di marzo”, “Il mio canto libero”, “La collina dei ciliegi”; “Ancora tu”, “E penso a te”, “Una donna per amico” e “Con il nastro rosa” sono solo alcuni veri e propri capolavori che rimarranno per sempre ai vertici dell’arte musicale e della cultura italiana. Rispetto all’innovazione portata dai cantautori come Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, Francesco De Gregori e Lucio Dalla, l’opera di Lucio Battisti (che non componendo i testi non poteva essere definito cantautore) si è insinuata nel profondo degli italiani e si è stratificata nel tempo. Già dal brano “29 settembre”, portato al successo da Maurizio Vandelli nel 1967, si intuì la grande novità portata da Battisti-Mogol. I due non volevano rimanere ancorati a determinati schemi nazional-popolari preconfezionati, ma preferirono tentare nuove e coraggiose strade, sperimentare soluzioni originali e accattivanti, varcare gli angusti argini della tradizione melodica del ‘Bel Paese’ pur senza rinnegarla in toto. La tipica “forma canzone” viene così portata per mano verso vette più alte, e impreziosita con sonorità provenienti da universi musicali distanti e all’apparenza incompatibili con quello tricolore: il blues, il soul, la musica beat inglese (e in seguito il folk, il progressive di matrice britannica (King Crimson, Genesis, Yes), le sonorità latino-americane, la new wave elettronica dell’ultima fase della carriera senza Mogol). Vale pena ricordare che Battisti scoperse e fece debuttare (a proposito di progressive) con la propria casa discografica Numero uno la Premiata Forneria Marconi nel 1972. Flavio Premoli, Franco Mussida, Franz Di Cioccio e Giorgio Piazza avevano spesso suonato nei suoi album.
L’importanza e l’originalità di Battisti dal punto di vista strettamente musicale può essere sintetizzata così: nella sua innata capacità di plasmare a piacimento la melodia (sia componendo con la chitarra e con il pianoforte), contaminandola con un’infinità di sonorità e spunti di varia provenienza. A sorprendere sono anche la ricercatezza e l’autentica poeticità delle liriche di un maestro assoluto come Mogol, che risultano perfettamente “incastonate” e fuse nel corpus musicale.

Redazione
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