giovedì, Aprile 25, 2024

Medicina, non servirà più il bisturi per la sostituzione della valvola aortica

Sostituire la valvola aortica con tecnica mininvasiva (Tavi), per via percutanea, comporta pericoli minori rispetto alla chirurgia standard. E questo vale anche per i pazienti a basso rischio chirurgico, che a oggi non vengono trattati con questo sistema, riservato a coloro che sono ritenuti altrimenti inoperabili. E’ il risultato al quale sono giunti due studi pubblicati sul ‘New England Journal of Medicine’ e presentati al congresso dell’American College of Cardiology, in corso a New Orleans (Usa). Le due ricerche hanno incluso rispettivamente 1.000 (Partner 3) e 1.400 pazienti (Evolut Low Risk) a basso rischio con stenosi aortica. Nel primo, la tecnica Tavi è apparsa superiore alla chirurgia nel prevenire decesso, ictus o ri-ospedalizzazione a 1 anno. La tecnica è anche associata a una minore incidenza di ictus e fibrillazione atriale e a una degenza ospedaliera più breve rispetto alla chirurgia. Nel secondo studio, a 24 mesi sono state prese in considerazione la mortalità per tutte le cause, e la percentuale di pazienti deceduti è apparsa equivalente nel gruppo sottoposto a chirurgia e a Tavi (4,5%). Sulla base di queste “ricerche davvero molto importanti”, dunque, evidenzia Francesco Romeo, direttore della cattedra di Cardiologia del policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione Onlus, pioniere di questa tecnica in Italia, “il destino della medicina è quello di dire ‘addio’ al bisturi per la sostituzione della valvola aortica”. “Si tratta di due grandi studi multicentrici, randomizzati che promuovono l’impianto valvolare aortico transcatetere (Tavi) anche per i pazienti giovani, quelli a basso rischio, ai quali finora non veniva offerta questa opzione. Queste ricerche potranno guidare una svolta nella pratica clinica. Abbiamo di fronte un sistema introdotto alcuni anni fa – ricorda il cardiologo – ma finora confinato ai pazienti con rischio chirurgico talmente alto, che altrimenti sarebbero inoperabili. Persone molto anziane, e dunque con fragilità intrinseche, oppure anche con comorbilità importanti. Questi pazienti vengono ormai trattati quasi sempre in sala emodinamica dai cardiologi. Per i pazienti a rischio intermedio – continua – viene fatta una valutazione caso per caso ed è ancora oggi leggermente preponderante la chirurgia”. Mentre “per i pazienti a basso rischio, fino a oggi la tecnica mininvasiva non veniva presa in considerazione, ma i risultati di questi nuovi studi sono destinati a cambiare la situazione. Si tratta di due lavori eseguiti proprio su pazienti a basso rischio, con dati a un anno che mostrano risultati migliori rispetto alla chirurgia classica. E’ importante – ribadisce Romeo – soprattutto per i pazienti, perché una procedura non chirurgica, che evita la circolazione extracorporea, la sternotomia mediana e tutti gli inconvenienti di un’operazione a cuore aperto, consente di ridurre gli eventi avversi e i tempi di degenza”.
Redazione
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