venerdì, Aprile 19, 2024

Il j’accuse di Marcello De Vito al M5S

Che tristezza la politica, a volte. Che tristezza la vita, anche. L’altra sera in compagnia di amici e compagni di lavoro, con cui abbiamo diviso e vissuto gran parte della nostra esperienza professionale, analizzavano la vicenda De Vito e chi chiedevamo perché a volte il mondo politico è così falso, così vacuo, così umanamente ridicolo e anche inutile. Quello che a Roma è accaduto a Marcello De Vito, Presidente dell’Assemblea capitolina e grande protagonista della storia e della vita del Movimento 5 Stelle in città, è davvero emblematico. Lo si può sintetizzare in questo modo: hai un amico vero, di cui ti fidi sinceramente tanto e che intimamente ammiri molto? Bene, prima lo convinci a fare politica insieme a te, poi lo costringi a candidarsi, e subito dopo condividi con lui il successo elettorale riportato a casa, ma soprattutto continui a condividere il suo carisma e la sua grande capacità operativa, il suo modo di fare, avvolgente e affascinante, la sua bravura, il suo piglio, la sua capacità di penetrare nel cuore degli altri, la sua intelligenza e la sua generosità, tutte doti grazie alle quali anche tu hai alla fine realizzato un tuo successo personale. Se poi mettiamo insieme Marcello De Vito da una parte e Luigi Di Maio dall’altra, allora il connubio diventa straordinariamente effervescente e per certi versi anche ammaliante e quasi commovente. Storia di una amicizia forte e apparentemente indistruttibile. Per anni a Roma si è raccontato di loro due insieme, di quanto e di come Marcello De Vito e Luigi Di Maio fossero la stessa cosa, la stessa anima, la faccia della stessa medaglia, di quanto amassero le stesse cose per la vita, di come condividessero la stessa passione per la politica, dei loro mille amici in comune, e del fatto che fossero sempre capaci di discutere e di sognare insieme le stesse cose. Ma è la storia del movimento 5 Stelle che è storia di condivisioni comuni importanti, e di sogni esaltanti coltivati mai da soli, come la è stata loro storia privata. Poi, un giorno, arriva la bufera giudiziaria, che travolge uno dei due in maniera pesante, quasi indecente, senza pietà e senza rete, trasformando Marcello De Vito per l’immaginario collettivo in una sorta di delinquente comune, senza scrupoli, avido, incosciente, malandrino e imbroglione insieme. E che succede? Che rimani solo, solo con te stesso, letteralmente dimenticato e isolato dal mondo esterno, solo come un cane appestato dalla scabbia, solo come un animale pericoloso. Attorno a te si fa il vuoto più totale e gli amici di sempre spariscono nel nulla. Ma queste sono le regole della giungla! Se un magistrato, in questo Paese, per un motivo qualunque, in un giorno della tua vita decide a buona ragione di indagare sulla tua vita e sul tuo passato, allora diventi tuo malgrado, all’improvviso, e per tutti un delinquente comune. Poco importa alla gente che hai intorno la verità che alla fine verrà accertata, alla fine dell’inchiesta vogliamo dire, poco importa dell’assoluzione finale. Nel momento in cui diventi oggetto di una inchiesta penale, come il caso di Marcello De Vito allora è per te la morte civile, conseguenza diretta e immediata della lontananza di quanti prima ti adoravano e ti adulavamo. Ma questa è anche la politica. Amore adulazione, passione e ipocrisia, benessere e malcostume, idiozia ed esaltazione mentale, il tutto e il contrario di tutto. Marcello De Vito non è poi quello che molti colleghi hanno voluto dipingere. La Cassazione rinviandolo al riesame, ha sentenziato in pratica che l’accusa è flebile, e che le imputazioni della prima ora non hanno retto alle controprove della sua difesa. Ma nel frattempo Marcello De Vito è rimasto solo. Vi chiederete, ma quanti dei suoi vecchi amici e compagni di partito sono andati a trovarlo in carcere? Nessuno. Nessuno davvero. Tranne Patrizia Prestipino e Roberto Giachetti, che non sono certo figli del Movimento, non è andato nessun altro. Tutti all’inizio si aspettavano che il suo vecchio amico di sempre, Luigi Di Maio, corresse in suo aiuto, e invece niente: il silenzio assoluto, che è peggio di una condanna a priori, perché può anche apparire come la condivisione silente di una campagna mediatica che ti tritura e ti uccide una volta per tutte. Meritava Marcello De Vito questo trattamento da parte dei suoi compagni di lotta politica? Noi crediamo di no. Con Virginia Raggi chiamata anche lei a rispondere più volte alle domande dei magistrati romani tutto questo non è accaduto, mentre per Marcello De Vito è anche arrivato un provvedimento di sospensione dal partito che aveva solo e unicamente un sapore elettorale, da campagna elettorale. Sarebbe ora che qualcuno gli chiedesse scusa, se non altro per il dolore e il senso di solitudine profonda che si prova in situazioni come queste. Ora Marcello De Vito aspetta di capire quale sarà il suo futuro in seno al Movimento di cui lui stesso è stato anni fa a Roma è stato davvero uno dei primi veri grandi padri storici è il più votato nella Capitale.

Redazione
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