giovedì, Aprile 25, 2024

Strage di Bologna, in settembre le perizie decisive sull’interruttore e sul dna di Maria Fresu

Sono tre le perizie che saranno depositate, intorno alla fine di settembre, davanti alla Corte d’Assise di Bologna che, in questi mesi, sta processando l’ex-Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980. Due riguardano il presunto interruttore della bomba, la terza il dna sul lembo di tessuto attribuito a Maria Fresu ma che, viste le incongruenze, potrebbe invece appartenere a una eventuale 86esima vittima non ancora identificata. Tutte e tre potrebbero dare una nuova svolta alle indagini sull’ordigno alla stazione che fece 85 morti e 200 feriti. All’udienza del 23 settembre prossimo, dopo la pausa estiva, dovrebbe essere depositata la nuova perizia chimico-esplosivistica, affidata al Laboratorio chimico del Ris dei carabinieri di Roma, guidato dal colonnello Adolfo Gregori, sull’interruttore elettrico di tipo “on-off” trovato nei mesi scorsi dal perito della Corte d’Assise di Bologna, Danilo Coppe, fra i detriti della stazione che vennero ammassati, dopo l’attentato, nel sedime della caserma di Prati di Caprara e poi setacciati e selezionati, nell’estate del 2018, dagli studenti del Master di analisi chimiche e chimico-tossicologiche forensi dell’Alma Mater di Bologna, per essere analizzati. I militari del Ris di Roma sono stati incaricati dalla Corte d’Assise di Bologna di cercare, sull’interruttore, montato su una piastra in metallo di circa dieci centimetri per tre, deformata da un lato, le tracce dell’esplosivo che ha devastato la stazione quel 2 agosto di 39 anni fa – quindi tritolo e T4 con alcuni residui di nitroglicerina, secondo le risultanze dell’ultima perizia depositata il 27 giugno scorso – nella convinzione che possa essersi trovato molto vicino alla carica esplosiva. Secondo il perito Danilo Coppe, infatti, l’interruttore, simile a quello di un tergicristallo ma montato artigianalmente sulla piastra in metallo, è incompatibile con qualsiasi deviatore elettrico delle Ferrovie né aveva motivo di essere presente nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna e potrebbe rappresentare, invece, un congegno realizzato da chi ha confezionato l’ordigno per metterlo in sicurezza durante il trasporto. Ma, appunto, essendo difettoso, potrebbe aver provocato l’esplosione accidentale della bomba quel 2 agosto dell”80. Ciò che i militari del Ris di Roma stanno cercando è l’impronta della miscela esplosiva su quella staffa di metallo. Ma non è l’unica perizia su quell’interruttore la cui scoperta da parte del perito parmigiano Danilo Coppe modifica completamente gli scenari finora prospettati e anche le conclusioni giudiziarie fin qui raggiunte sulla strage di Bologna che ipotizzavano, fra l’altro, un attivatore chimico e non elettrico, un’esplosione voluta e non accidentale, una quantità quasi doppia di materiale esplosivo e una miscela completamente diversa e ribaltata nei suoi componenti rispetto a quella riscontrata oggi con gli avanzati sistemi tecnologici di cui è dotato il Ris dei carabinieri. Una seconda perizia, questa volta metallografica, ma sempre sull’interruttore e, in particolare, sulla staffa in metallo piegata, prenderà il via il 5 settembre prossimo e dovrebbe concludersi in un paio di giorni. La Corte d’Assise l’ha affidata a un docente del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, esperto in Failure Analysis & Forensic Engineering, il quale dovrà stabilire, anche attraverso l’ausilio di un microscopio elettronico a scansione e di una saggiatura chimica, se quella deformazione, una torsione anomala dell’aletta di metallo su cui era stato montato l’interruttore, sia stata determinata dall’esplosione che l’ha divelta e “strappata” o, piuttosto, dalla pressione esercitata, per esempio, da un mezzo meccanico, come potrebbe essere la pala di una benna, durante le successive operazioni di rimozione dei detriti nel piazzale della stazione di Bologna e l’ammassamento successivo del materiale a Prati di Caprara. La terza perizia attesa a fine estate, quella sul Dna dei resti attribuiti a Maria Fresu, una delle vittime della strage, scomparsa misteriosamente nell’attentato, è forse la più importante. Ed è stata affidata alla dottoressa Elena Pilli, biologa genetico-forense del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze, una vera e propria autorità in materiaAlla dottoressa Pilli, che, da circa dieci anni, collabora con il Ris dei carabinieri di Roma – dal 2017 ne fa parte integrante indivisa con il grado di capitano richiamata come riserva selezionata – e che si è occupata, fra l’altro, dei celebri casi giudiziari di Melania Rea e di Elisa Claps, è stato affidato il lembo facciale, trovato dai periti, l’esplosivista geominerario Danilo Coppe e il medico legale professor Stefano Buzzi, docente all’Università di Parma, il 25 marzo scorso nel corso della riesumazione dei resti, attributi alla Fresu, conservati in una minuscola bara di un loculo del cimitero di Montespertoli, in provincia di Firenze, accanto alla tomba della piccola Angela Fresu. La dottoressa Pilli ha chiesto e ottenuto una prima proroga che scade ufficialmente il 20 agosto prossimo – ma con i termini feriali si arriverà, inevitabilmente, in prossimità del 23 settembre – e sta cercando di accertare, attraverso l’esame del Dna, nucleare prima e mitocondriale poi, se il lembo facciale appartenga effettivamente a Maria Fresu, la giovane mamma sarda che, il giorno della strage, scomparve mentre si trovava nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, investita dall’esplosione, assieme alla figlioletta Angela, di 3 anni, morta per le lesioni riportate nel crollo dell’edificio, all’amica, Verdiana Bivona, operaia ventiduenne di Castelfiorentino, anch’essa deceduta per le fratture letali provocate dal cedimento del fabbricato, e a Silvana Ancillotti, l’unica sopravvissuta di quel gruppetto che si era messo in viaggio verso il nord Italia per le vacanze estive. Gli esperti non si spiegano, tecnicamente, la scomparsa di Maria Fresu. Lo stesso perito esplosivista Coppe la giudica implausibile alla luce delle sue profonde conoscenze in materia. Anche perché Maria, la figlioletta Angela e le due amiche Verdiana e Silvana, si trovavano lontane dal punto dell’esplosione, comunque in quell’area che non venne investita direttamente dalla detonazione. Coppe ha escluso che l’esplosione dell’ordigno della strage di Bologna possa aver disintegrato le persone presenti, a prescindere dalla loro collocazione sulla scena. Ma non è questo l’unico mistero che rende centrale e importantissima la perizia del Dna in corso. Il lembo facciale sui cui la dottoressa Pilli sta svolgendo proprio in questi giorni gli accertamenti appare strappato secondo un fenomeno ben noto agli esplosivisti e che si verifica quando la vittima si trova a strettissimo contatto con un ordigno, al punto che lo spostamento d’aria in pressione, provocato dall’esplosione, penetra nel padiglione auricolare separando violentemente la cute dalla struttura ossea. Il punto è che Maria Fresu, secondo la testimonianza della sua amica Silvana Ancillotti, rilasciata nell’immediatezza della strage alla polizia giudiziaria ma, anche, recentemente, confermata in un’intervista all’Adnkronos, al momento della detonazione si trovava di fronte alle sue due amiche e alla figlia Angela, perfino più lontana di loro, circa un metro, dal punto in cui è esplosa la valigia. Anche la circostanza del ritrovamento del lembo facciale appare inspiegabile e, per certi versi, misteriosa.
Redazione
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