giovedì, Aprile 18, 2024

Processo Cucchi, il programma “Un giorno in Pretura” risponde alla critica di Ilaria

‘Un giorno in Pretura’ risponde a Ilaria Cucchi. Dopo le contestazioni della sorella del geometra ucciso nel 2009 in merito alle puntate dedicate al processo per la morte del fratello, la redazione ha deciso di replicare con un lungo post su Facebook alle precisazioni della donna e del suo avvocato pubblicate sui social nei giorni scorsi. “A seguito della messa in onda della seconda puntata di Un Giorno in Pretura dedicata al processo Cucchi – si legge -, si sono levate alcune critiche relative a una presunta faziosità del nostro programma. A lanciare il coro è la voce senz’altro autorevole di Ilaria Cucchi, seguita dal suo avvocato Fabio Anselmo. Naturalmente non fa mai piacere ricevere critiche negative, anche quando non sono di natura strettamente televisiva. Respingiamo però qualsiasi allusione o accusa di faziosità (o persino di “omertà”!). Non accettiamo che venga evocata una qualche connivenza con una parte del processo a scapito di un’altra. A tal proposito – continua il post – ci teniamo a far notare che Un Giorno in Pretura non scopre la realtà degli abusi ‘in divisa’ con il caso Cucchi. Probabilmente, quando nel 2009 andavamo in onda con quattro puntate dedicate alla morte di Federico Aldrovandi, molti di quelli che oggi ci scrivono rabbiosi che ‘dobbiamo raccontare la verità’, non si erano mai occupati di questa tematica”. “Nel corso degli anni – scrive ancora la trasmissione del programma di Rai Tre – abbiamo seguito il processo per i fatti della Diaz (g8 di Genova, 2001), il caso Uva, Bianzino, Bonsu (municipale di Parma), Polfer (morte di Giuseppe Turrisi). Abbiamo persino narrato la storia dei crimini commessi dalla giunta militare Argentina. Tutto questo – sottolineano – testimonia della nostra particolare attenzione verso quei delitti che vengono imputati a chi abusa della propria autorità e tradisce la fiducia dei cittadini che dovrebbe tutelare. Nessuno ci obbliga a mettere sotto osservazione questo tipo di reati, che ci pongono anche in situazioni scomode”. “Naturalmente, come per ogni caso giudiziario, cerchiamo – spiegano – di dare spazio a tutte le parti. Se da trent’anni entriamo nelle aule di tribunale di tutta Italia è proprio perché ci è sempre stata riconosciuta una doverosa imparzialità. Un Giorno in Pretura ha una sua lunga storia, e non nasce con Facebook o con i meme di Alongi. Non ha lo scopo di far ridere o di strappare like di indignazione, anche se nel quadro di un racconto articolato della società italiana, può suscitare la risata o sollevare un moto di rabbia civile”. Quanto all’accusa di aver “omesso” le perizie mediche, “Un giorno in Pretura deve sottostare alle regole del linguaggio televisivo, fare di un processo durato mesi o anni un racconto consequenziale di una o due ore. Non possiamo permetterci il lusso di essere enciclopedici, di aggiungere note a margine. Le perizie tecniche sono per definizione la parte meno raccontabile tramite il mero linguaggio televisivo, e nessuna testimonianza filmata può sostituire la lettura di un’intera perizia. Potevamo dedicare più di 3/4 minuti alle perizie mediche dei processi Cucchi? Forse. Avremmo potuto dedicarvi una decina di minuti? Naturalmente no. Ci saremmo ritrovati – spiegano – a parlare a un pubblico di soli medici, e questo non possiamo permettercelo, né ci sembra il modo migliore di fare servizio pubblico. Allo stesso modo, IN OGNI PROCESSO che trattiamo, siamo costretti a sintetizzare al massimo perizie complesse come quelle balistiche, per non ritrovarci a interessare solo gli ingegneri. È un limite fatale”. “Ciononostante – scrivono ancora -, siamo convinti che in cento minuti di narrazione televisiva si possano descrivere i tratti salienti di un procedimento giudiziario, le sue tesi contrapposte, il clima psicologico e gli ambienti che lo caratterizzano. Se questo lavoro non sempre riesce a soddisfare tutti, può essere dovuto a mille fattori, anche a errori da parte nostra, ma mai a prese di posizioni faziose, a scelte di campo aprioristiche o a losche connivenze. Magari dedotte da un post su Facebook, dal mero conteggio dei minuti dedicati a questo o quell’avvocato (come se automaticamente dedicare spazio a qualcuno significhi fargli un favore o perorarne la causa!), o persino dalla formula ‘vi daremo conto dell’appello’ con cui l’Autrice chiude ogni puntata dedicata a un primo grado di giudizio. Il processo giudiziario – conclude il lunghissimo post – è un luogo narrativo plurale, in cui non esiste una ‘voce della verità’, ma tante voci in competizione, che noi con il nostro montaggio cerchiamo di rappresentare, mai di controllare o silenziare. Questo è il nostro metodo, e vi assicuriamo che ci sforziamo di applicarlo in tutti i casi”.
Redazione
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