venerdì, Marzo 29, 2024

Ex Ilva, i commissari hanno concluso la memoria sullo stabilimento di ArcelorMittal

“L’illegittima iniziativa di controparte è oggi suscettibile di frustrare definitivamente tutto ciò e renderlo del tutto inutile: ove fosse infatti consentito a controparte di ritirarsi illegittimamente dalla operazione calpestando gli accordi stipulati e gli obblighi assunti, il danno sarebbe incalcolabile e concretamente irreparabile in ragione sia della sua dimensione, e natura, che delle sue caratteristiche”. E’ uno dei passaggi della memoria delle repliche dei commissari dell’ex Ilva nella causa civile, in corso a Milano, che vede al centro il ricorso cautelare d’urgenza per bloccare l’addio di ArcelorMittal allo stabilimento di Taranto. Per i commissari dell’ex Ilva, la gestione di ArcelorMittal non sarebbe improntata a garantire un lungo futuro all’azienda. La giacenza di materie prime al 20 novembre 2019 era tale da garantire “una autonomia di circa 6 giorni”. La situazione oggi “non è sostanzialmente modificata, posto che ArcelorMittal, successivamente agli impegni presi, ha continuato a mantenere un magazzino fortemente sbilanciato sul prodotto finito da vendere anziché sull’approvvigionamento di materie prime destinate ad alimentare la futura attività”. “La migliore conferma di quanto precede è del resto di poche ore fa, quando controparte ha dato notizia della messa in cassa integrazione di 250 dei 477 dipendenti operanti sull’altoforno 1 in ragione dello ‘scarso approvvigionamento di materie prime e [de]ll’attuale capacità produttiva legata alle commesse'”, si legge nel documento firmato dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni. Inoltre, “in violazione degli impegni assunti in udienza”, la controparte “si è rifiutata sino ad ora ostinatamente di consentire alle ricorrenti qualsiasi tipo di verifica e sopralluogo finalizzati a controllare la effettiva situazione e la correttezza della ben laconica, e generica, informazione trasmessa circa la produzione giornaliera di acciaio grezzo. Un comportamento che evidentemente preclude in larga parte di verificare il reale ed effettivo spessore della attività di gestione e conduzione dei rami d’azienda attualmente portate avanti”. “E’ evidente – si legge ancora nella memoria – come l’ordinanza del tribunale del Riesame di Taranto del 7 gennaio, nel riaffermare la facoltà d’uso di Afo2 (dell’altoforno 2, ndr) per il periodo necessario a completare l’adempimento delle prescrizioni e confermare già ad oggi la sicurezza di operatività dello stesso (e quindi necessariamente anche di Afo1 ed Afo4, stando alle stesse considerazioni di controparte), ha in sé raso al suolo tale argomentazione”. E ancora: la dichiarazione di recesso del 4 novembre 2019 di ArcelorMittal è “platealmente illegittima e mistificatoria”, in tal senso la “mancata proroga dello scudo penale rappresenta soltanto la raffazzonata giustificazione utilizzata per sciogliersi da un rapporto contrattuale oggi non più ritenuto nel proprio interesse, il grimaldello cioè attraverso il quale tentare di fare saltare l’assetto negoziale”. Se si legge la storia con gli occhi degli commissari dell’ex Ilva, la versione è molto diversa da quella fornita dai vertici del gruppo franco indiano che è intenzionato a lasciare Taranto. Ed è sui cavilli legali, sul contratto d’affitto legato allo stabilimento pugliese che si gioca la battaglia giudiziaria che potrebbe riaprirsi presto a Milano davanti al giudice civile Claudio Marangoni. “Poco importa – si legge nella memoria firmata dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni – se tale comportamento sia frutto di ripensamenti emersi a seguito di una nuova e diversa valutazione di difficoltà ed aspetti critici sottovalutati o di un ulteriore peggioramento congiunturale del mercato europeo dell’acciaio, o se costituisca invece la semplice messa in essere del preteso, opaco, disegno anticoncorrenziale del cui rischio, sin dall’inizio, non pochi avevano avvertito”. Quel che rileva “è che ArcelorMittal tenta oggi di calpestare bellamente gli impegni presi e gli assetti di interessi concordati, con conseguenze devastanti non solo per il destino della propria controparte contrattuale (e del relativo ceto creditorio), ma anche, e soprattutto, sulla situazione economico sociale e sulle prospettive di sviluppo di intere aree del Paese già certamente non agiate”. Per gli avvocati “ciò che ben ne emerge è che a preoccupare controparte non è la indisponibilità per il futuro di uno scudo penale (della cui permanenza non si era nel passato mai veramente preoccupata), bensì la riscontrata propria incapacità di sapere efficacemente gestire i rami d’azienda (ed in particolare quello tarantino) nel quadro di un mercato europeo dell’acciaio peggiore di quanto avesse preventivato”.
Redazione
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