venerdì, Marzo 29, 2024

Fisco, al Mef si studia per diminuire la pressione fiscale e per migliorare semplificazione

Calo della pressione fiscale e semplificazione. Sono le parole d’ordine che emergono nelle forze di maggioranza in vista del cantiere Irpef che partirà giovedì con il primo brainstorming convocato al Mef dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a livello tecnico e politico. Un primo incontro voluto dal titolare di via XX Settembre, con parti sociali ed esponenti dei partiti di maggioranza, per ragionare sulle ipotesi di lavoro. Punto d’arrivo, la definizione della legge delega da approvare in Consiglio dei ministri ad aprile in modo che la riforma approdi ai nastri di partenza a gennaio 2021. Capitolo delicato quello della riforma dell’Irpef, dove le posizioni dei partiti della maggioranza non sono esattamente coincidenti, tanto più se il dossier dovesse incrociarsi con una rimodulazione dell’Iva nel quadro di una più ampia riforma fiscale. “Iniziamo a lavorare da giovedì, con l’obiettivo di rifare completamente Iva e Irpef nel 2021” sottolinea Luigi Marattin, vice capogruppo di Iv alla Camera. “Abbiamo già parecchie idee”, incalza, “questo però significa concentrare lì tutte le risorse reperibili nella legge di bilancio 2021, e non disperderle in tanti interventi di peso specifico basso. Il 2021 può essere l’anno di un nuovo fisco, più semplice e più leggero. Cerchiamo di avere coraggio”. Bisognerà vedere la posizione del M5S favorevole ad una semplificazione Irpef che avvantaggi il ceto medio con la riduzione da 5 a 3 delle aliquote e una revisione degli scaglioni, ma da sempre contrario ad interventi sull’Iva. Nel Pd invece, tra le ipotesi circolate, quella di una riduzione delle prime due aliquote. Sul tavolo anche il cosiddetto modello tedesco per un’aliquota progressiva, che sale all’aumentare del reddito.
Mettere mano all’imposta sul valore aggiunto è terreno da sempre spinoso visto che ogni ‘spostamento’ del prelievo avvantaggerebbe certe voci di spesa a scapito di altre capito di altre, da qui – tra le ipotesi emerse – quella di intervenire ‘recuperando’ sui beni voluttuari a vantaggio del cosiddetto carrello della spesa, in favore delle fasce deboli e delle famiglie.
Affrontare un capitolo ad altissima impopolarità come l’Iva, appare tuttavia una necessità non più derogabile per il bilancio dello stato, per avviare un percorso virtuoso che inizi ad erodere la montagna delle clausole di salvaguardia pronte a scattare a gennaio 2021. L’ultima legge di Bilancio 2020 ha sterilizzato rialzi Iva per circa 23 miliardi di euro principalmente attraverso la leva del deficit ma ha spostato l’aumento delle aliquote al 2021, seppur alleggerite di 9,8 miliardi (ordinaria) e di 3 miliardi (agevolata).
Dunque cifre alla mano, se entro il 31 dicembre di quest’anno le clausole non venissero di nuovo disattivate, l’Iva aumenterebbe di 18,9 miliardi nel 2021 e di ulteriori 25,8 miliardi nel 2022. La legislazione – per prassi – già lo prevede con l’Iva al 25% per il prossimo anno (dall’attuale 22%) e al 26,5% nel 2022 e l’aliquota ridotta al 12% (dal 10% di oggi).
Redazione
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