venerdì, Aprile 26, 2024

Il procuratore generale chiede la condannadi tutta la famiglia Ciontoli a 14 anni

 

Al Palazzaccio la terza udienza del processo d’Appello bis per l’omicidio di Marco Vannini

Nell’aula della Cassazione la requisitoria del Pubblico Ministero e la richiesta delle parti civili

 

Ieri terza udienza del processo d’Appello bis per l’omicidio di Marco Vannini. Ritorno in aula per la requisitoria del Pm e la richiesta delle parti civili. Il PM nel prendere la parola, ha confermato che siamo in presenza di menzogne e reticenze che hanno caratterizzato tutto il processo, realtà ben evidenziata dalla sentenza di Cassazione, che nel dispositivo evidenzia ben undici incongruenze. Per comprendere la differenza fra dolo eventuale e colpa cosciente: telefonare al 118 e dare informazioni false è come non aver telefonato. Federico aveva consapevolezza piena della gravità – evidenzia la Suprema Corte – ma non chiama. Tutto parte dalla telefonata e la malafede di Federico, che non menziona nemmeno il ridicolo colpo d’aria partito dalla pistola. Parla di panico e difficoltà di respirazione. La sua malafede è la stessa della famiglia: l’operazione è congiunta per mistificare la verità, in modo che Antonio Ciontoli non abbia conseguenze per la carriera. Praticamente una condanna a morte per Marco che agonizzava. Un colpo capace di sfondare la portiera di una vettura è stato contrabbandato per una ferita da pettine a punta. E passiamo a Martina. Disse all’infermiera Bianchi di non sapere nulla, in quanto non presente. Una condotta ripugnante, che secondo la Cassazione, va oltre la menzogna e tratteggia la volontà di difendere Ciontoli ma la situazione non chiedeva alternative, se non quella di salvare Marco. Non ci sono dubbi circa la presenza di Martina al momento dello sparo. Tutti hanno visto e sentito la pistola, il corpo del povero Marco, e cercato il foro d’uscita. Condotta assurda quella di Martina, visto che nelle intercettazioni descrive minuziosamente i fatti. L’omissione di soccorso e il ritardo sono valutazioni che colgono subito la sensibilità dell’uomo comune. Dopo dieci ore, qualcuno dice a Martina: “Perché tutto ‘sto tempo prima di chiamare?”. Come non si può pensare di salvare Marco che si dimenava, fino al Pit, come conferma il dottor Matera. Marco era uno della famiglia, la Corte d’Assise va rimproverata sotto questo aspetto circa le attenuanti generiche. Ed è stato “curato” con acqua e zucchero o alzandogli le gambe. I fatti sono ormai conclamati e non si voleva allertare il 118. La critica ai due giudizi precedenti è severa, ed il caso definito come frutto di un’unica condotta omissiva di un gruppo di persone. Ed anche per gli altri membri della famiglia si deve sostenere il dolo eventuale. Non sono medici né chirurghi, e Ciontoli da militare sa quanto siano pericolose le armi. La lontananza dalla condotta standard ed il tempo trascorso sono fattori importanti. Ciontoli infatti è cosciente che il ferimento porterà conseguenze, e tenta di corrompere il dottor Matera. Avendo portato subito Marco al Pronto Soccorso, e solo in quel caso, avrebbe avuto un senso. Le parti civili e la Cassazione hanno sottolineato che la morte di Marco avrebbe giovato al Ciontoli per l’assenza del testimone chiave. Senza le intercettazioni ambientali, infatti, non si sarebbe saputo nulla di quanto avvenuto nel bagno. Non ci sono dubbi quindi sul dolo eventuale: o si trovano motivazioni diverse dalla precedente sentenza d’Appello oppure si deve confermare il primo grado per Antonio Ciontoli. Sono tutti conniventi e fedeli ad un disegno programmato, a cui tutti hanno aderito anche a costo di far morire Marco Vannini. Un momento di confusione mentale causa errori, ma un’ora è un tempo lunghissimo, interrotto solo dal colloquio con Matera. Marco ha resistito solo perché aveva vent’anni ed è sopravvissuto per tre ore. Inattendibile anche l’attribuzione al maresciallo Izzo del colloquio con Martina in caserma, durante il quale il carabiniere le avrebbe esposto l’accaduto: Martina sapeva della ‘ciste’ perché l’aveva vista. E persino la Bianchi non si capacitava in ambulanza circa le condizioni di Marco. Nella requisitoria, quindi, il Sostituto Procuratore generale Vincenzo Saveriano ha chiesto alla Corte la condanna per Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione così come per Federico, Martina e Maria Pezzillo. In subordine, l’applicazione dell’articolo 116 del codice di procedura penale. “Chiedo – chiude il Magistrato – i 14 anni per Antonio Ciontoli. Per gli altri, la Cassazione è stata categorica: al ritardo dei soccorsi e la conseguente adesione degli altri al progetto criminale avendone piena cognizione poteva portare alla morte di Marco. Pertanto chiedo, in subordine, di non escludere l’applicazione dell’articolo 116 del ccp. Omicidio volontario per Antonio Ciontoli e 14 anni, per gli altri in concorso anomalo in omicidio a 9 anni e 4 mesi al massimo dello sconto e delle pene accessorie per tutti”. L’appello bis non ha altro da aggiungere a questa tragedia, se non la sentenza.

 

Mamma Marina:

“Soddisfatti delle

richieste del PG”

Appena conclusa l’udienza di secondo grado per l’omicidio di Marco Vannini, che ha visto il PG chiedere 14 anni per tutta la famiglia Ciontoli e, in subordine, per i figli e la moglie di Ciontoli di valutare l’ipotesi di concorso anomalo in omicidio (in base all’articolo 116 del codice penale), e condannarli alla pena di 9 anni e 4 mesi di reclusione, si sono detti “soddisfatti” i genitori di Marco, intervistati all’uscita della Corte d’Appello: “La nostra battaglia è stata questa, fin dall’inizio, che venisse richiesto l’omicidio volontario a tutta la famiglia. E’ stata un’emozione, ci battiamo da più di cinque anni. I nostri avvocati sono stati bravissimi. Siamo finalmente sulla strada giusta per rendere giustizia a Marco e sono pronta a portargli quel mazzo di fiori che gli ho sempre promesso. Se andrà tutto come speriamo, potremo iniziare, io e mio marito, il vero lutto e forse riusciremo a trovare un po’ di serenità. Quello che posso fare adesso è ringraziare i nostri avvocati perché non ci hanno mai abbandonato continuando a lottare al nostro fianco. E’ stata un’udienza che ha aggiunto un po’ di luce, quella luce che non vedevamo all’inizio”.

Redazione
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