mercoledì, Aprile 24, 2024

“La giustizia esiste!”

E’ terminato dopo oltre cinque anni uno dei processi più importanti degli ultimi tempi

 

La Corte d’Appello ha condannato, per l’omicidio volontario di Marco Vannini, Antonio Ciontoli a 14 anni, la moglie e i due figli Federico e Martina a 9 anni e 4 mesi. Con voce tremante e gli occhi gonfi dalle lacrime, mamma Marina, appena uscita dall’aula: “Finalmente dopo 5 anni siamo riusciti a dimostrare quello che dicevamo dall’inizio, che Marco se soccorso si sarebbe salvato e adesso non saremmo davanti a queste telecamere. La giustizia esiste! Non dovete mai demordere, lottate fino alla fine. È giusto che esistano principi morali sani in questa società. Ed è giusto che i giovani crescano con questi principi”.

Secondo Valerio Vannini: “Questa Corte ha dimostrato di aver letto le carte. Stavolta le urla di Marco le hanno sentite tutti”. Su Ciontoli ha commentato: “Perdono me lo ha chiesto solo quando c’è stata l’udienza”.

Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri: “Mi trovavo all’esterno. Quando è giunta la notizia della sentenza, qua fuori, la piazza è esplosa in un applauso. Questo non ci restituirà Marco, le istituzioni dovevano farsi sentire. L’ho detto sempre: abbiamo fatto molto meno rispetto a quello che questa famiglia ci ha insegnato. Cinque anni di inferno per una mamma e un papà a cui è stato tolto un figlio. Cinque anni di dolore che la sentenza di oggi certo non rimargineranno. Da sindaco posso peró dire che le Istituzioni questa volta hanno fatto giustizia anche se questo non restituirà Marco alla sua famiglia e ai suoi amici”.

Soddisfatto l’avvocato Celestino Gnazi, che commenta a caldo la sentenza: “Nonostante si parli di una tragedia, c’è soddisfazione perché finalmente è stata fatta giustizia”

 

Ecco cosa è successo

nella giornata di ieri

Ieri è stato il giorno della sentenza di Appello Bis per l’omicidio di Marco Vannini. Marco a 20 anni è stato ucciso da un colpo di pistola esploso nella casa della fidanzata a Ladispoli la notte tra il 17 e 18 maggio 2015. Imputati Antonio Ciontoli con la moglie e i due figli. A giudicarli, il presidente della Corte Gianfranco Garofalo che ha tenuto conto della sentenza e dei parametri imposti dalla Corte di Cassazione. L’accusa sostenuta, dal pg Vincenzo Saveriano, ha chiesto – come successo nell’Appello precedente – 14 anni di reclusione per i Ciontoli per omicidio volontario con dolo eventuale, in subordine una pena a 9 anni e 4 mesi per tutti tranne Antonio. “Per la difesa staremo a speculare sul cadavere di Marco, per fare soldi. Sta scritto nell’intervento dell’avvocato Miroli, che saremmo qui per vendetta. Strana lezione che viene da chi ha svuotato i conti, chi ha mentito fino alla morte di Marco, ha mentito ai familiari, ai soccorritori. Strana lezione per chi ha tentato di corrompere il medico del pronto soccorso, inducendolo a commettere un reato – ha detto Coppi – i Ciontoli hanno diritto a un processo equo e sentenza giusta, ma lo stesso diritto abbiamo noi della parte civile con la differenza che rappresentiamo la vittima di un reato e dei familiari, vittime a loro volta. La difesa tutela chi ha commesso certamente dei reati molto gravi. Noi auspichiamo una sentenza che non cerca denaro, non sappiamo cosa farcene, e neanche che sia espressione di brutalità cieca verso gli imputati, ma solo conforme a legge e che applichi le relative sanzioni, la sentenza che attende il popolo italiano. Questo – ha concluso Coppi – è il nostro ruolo nel processo, non meritavamo nessuno questo insulto: né i Vannini né le toghe che indossiamo. Magari ci si accorgerà che si è andati oltre le righe”.

 

Il pg Saveriano: “Nessun dubbio

sulla responsabilità di tutti

i Ciontoli nella morte di Marco”

Così il Pg Vincenzo Saveriano, che ha replicato alla difesa: “La Cassazione sostiene che le circostanze dell’evento morte erano prevedibili e tutti hanno aderito, con la certezza che così Marco non si sarebbe salvato. Qui c’è il dolo: al colpo di pistola c’è l’omicidio colposo e un secondo dopo lo sparo avrebbero dovuto chiamare i soccorsi. I 110 minuti dal colpo al quando Ciontoli non parla al Pit fa configurare il dolo eventuale. La condotta dei Ciontoli, allo scopo di salvaguardare il posto di lavoro di Antonio, toglie ogni dubbio sulla consapevolezza degli imputati condannando Marco a morte. Non hanno alzato un dito per aiutare Marco. Parecchie domande restano insolute: Federico è in malafede perché non parla subito del colpo. Martina che calma Marco e poi nega di esserci; la Pezzillo che aderisce al progetto folle del marito senza avvertire i genitori. Sono indice di un concorso pieno e di consapevolezza piena all’agire del Ciontoli. Tra la morte di Marco e il posto di lavoro di Antonio hanno scelto il posto di lavoro. La sentenza è già scritta perché spero che condanniate tutta la famiglia sulla base della sentenza della Cassazione, che ha indicato un percorso obbligato. I Ciontoli hanno assecondato il volere di Antonio, individuati gli elementi fattuali della Cassazione”.

 

Ciontoli: “Dolore

condiviso con Marina

e Valerio Vannini”

Ha seguito la dichiarazione spontanea di Antonio Ciontoli: “Non è facile per me parlare. Si possono dire tante parole, mentre in questo contesto le stesse parole assumono una consistenza incancellabile. Vivere nel silenzio, nella solitudine si cerca di trovare un equilibrio psichico per riuscire a sopravvivere, con il dolore immane che ho provocato. Le mie sono parole dette senza pregiudizi, signori giudici non intendo offendere nessuno, so di non essere la vittima ma il solo responsabile di tutto, decidendo di vivere lontano nel mio dolore, nella sofferenza personale. Rientra però nel mio diritto anche rifiutare gli insulti di giornalisti e gente comune. Vi prego di non avere pregiudizi. Queste parole sono scritte da un uomo senza più sicurezze, diventato fragile e vulnerabile ma deciso a lottare per la famiglia. Mi spingono buone intenzioni e spero aiutino per un giudizio non influenzato, consapevole che l’irreparabile errore commesso che sento sulla mia pelle sia impossibile da accettare, così come la morte di un ventenne (piange) bello come il sole e buono come il pane. E’ ingiusto e inaccettabile, per questo chiedo che approfondiate. Sono cosciente che davanti a un evento così si scada nella rabbia senza tentativi di giustificazione. Più difficile è andare oltre. Io ho distrutto la mia vita in questa storia, tanti non saranno contenti né soddisfatti perché auspicano il mio annientamento morale e fisico, come ho visto su giornali e social. Ho paura che per strada, aggrediscano me e i miei familiari, loro anche vittime del mio comportamento. La mia vita non sarà più la stessa in quanto si è fermata alle 23.30 del 17 maggio 2015 e vivo in una prigione a cielo aperto, recluso nel mio corpo. Da allora sopravvivo grazie a Dio e alla famiglia nella speranza che anche Marina e Valerio condividano il dolore. Devo sopravvivere al mio errore, mi resta solo questo e per questo lotto giorno dopo giorno per la sofferenza nostra e dei Vannini. Da genitore posso persino comprendere l’immenso dolore tramutato in rabbia, posso immaginarlo quanto Marco non meritasse tutto questo e io ho causato tanto dolore, condannando anche i miei figli, pertanto posso essere arrabbiato solo con me stesso. Ho commesso tanti errori in pochi minuti, provocando una tragedia inenarrabile, tra questi, l’errore più grande è stato il voler gestire tutto da solo. Sono stato poco umile, sottovalutando i fatti e pensando di gestire tutto, rassicurando i presenti e con Marco ripresosi, l’avrei portato io al pronto soccorso. Mai avrei immaginato che rischiasse la vita con il mio comportamento, per me la pallottola era nel braccio. Lo può comprendere chiunque, ho pagato la mia sicurezza, e questo ha condizionato i miei comportamenti e purtroppo ho sbagliato. Non mi capacitavo, sono vittima del mio comportamento, coinvolgendo i miei cari in una vicenda che non li riguarda. Quella mia sicurezza era illusione, una speranza ma loro non meritano colpe che non hanno. Non sono esperto d’armi, io ho sempre maneggiato carta al servizio Logistico della Marina. Quando Marco era al Pit abbiamo saputo da Izzo che veniva informato telefonicamente. Ricordo una telefonata che annunciava Marco in arresto cardiaco, una seconda con Marco in ripresa e la terza della morte. Sono stati momenti devastanti, non potevo crederci. Per me il proiettile era nel braccio, non poteva uccidere Marco. Tornato in caserma Izzo ci disse che il proiettile aveva attraversato il corpo, facendo un gesto con il braccio. Con Izzo i rapporti sono stati cordiali fino all’aprile 2016, io stesso interruppi i rapporti con lui. L’umiltà è un valore fondamentale, l’ho capito solo ora, quella sera non sono stato un uomo migliore ma chiedo perdono ma anche l’odio generato dai romanzi proposti dai media. Mi appello al buono degli uomini, al beneficio del dubbio e chiedo perdono per quanto commesso e per quanto non commesso. Il giudizio ci avvicina a Dio, nessuno dovrebbe sentirsi in dovere di essere parziale alimentando vendetta e rabbia, nessuno sostituirsi al giudice. Qualsiasi condanna mi verrà inflitta, io sono già oltre, conscio che quando si spegneranno i riflettori rimarrà solo il dolore lancinante che ho provocato, in primis verso chi ama Marco. Restano il rimorso e la consapevolezza della bellezza di Marco. Grazie e scusate”.

Redazione
Redazione
La nostra linea editoriale è fatta di format innovativi con contenuti che spaziano dalla politica allo sport, dalla medicina allo spettacolo.

Articoli correlati

Ultimi articoli