venerdì, Aprile 19, 2024

Trani: “Restituire a Ladispoli la sua posizione nell’Area Metropolitana partendo dalla riqualificazione urbana”

di Carla Zironi

A tu per tu con l’opposizione in Consiglio comunale: le famose tre scimmie (non parlo, non vedo, non sento) non hanno cittadinanza nella lista civica Ladispoli Città capeggiata da Eugenio Trani. Dai banchi dell’Aula Fausto Ceraolo puntualmente, argomentata e documentata, parte la replica alla Giunta del Sindaco Grando. Fatti e misfatti che poi, anche tramite i media locali, fanno il giro dei social con relativi commenti. Intorno a Trani e alla sua lista civica si è creato un folto stuolo di followers dalle più svariate provenienze, pentiti grandiani compresi. Insomma una opposizione che tira e che in un futuro non molto lontano potrebbe giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere cittadino: tra un anno e mezzo si torna alle urne. Parliamo con Eugenio Trani (classe 1969, sposato con Martina, due figlie) già Assessore al Bilancio nella passata gestione Paliotta. Il suo punto di riferimento è una figura di spicco nella storia repubblicana, Ugo La Malfa, politico ed economista, “un uomo per cui il concetto di democrazia non si limitava all’esercizio della “libertà politica individuale” ma a un vero e proprio modello di governo del Paese, da adottare con responsabilità e da far valere nelle aree più svantaggiate e represse”.

Alle passate elezioni comunali il 60% degli aventi diritto al voto si è astenuto al ballottaggio Pierini/Grando, un fatto inedito nella storia elettorale ladispolana. Un calo c’è sempre ai ballottaggi dovuto anche ad una minore tensione rispetto alla prima battuta in cui si eleggono i consiglieri, ma di fatto questo dato stabilisce che un Sindaco è di minoranza, e che dovrebbe tenerne conto. Come si fa per recuperare la fiducia dell’elettore, perché non rimanga alla finestra?

“Il buon rapporto tra cittadino e istituzione è proporzionale alla fiducia che le istituzioni generano. Una fiducia che deve essere guadagnata sul campo e non promessa; che derivi dal fatto che le istituzioni agiscano veramente in nome e per conto del cittadino, suo referente e giudice. La fiducia si incrementa con le azioni e solo con quelle. La tensione e la paura sociale ledono il rapporto fiduciario dei cittadini ed è proprio su questi aspetti che concretamente le Istituzioni devono rassicurare il cittadino dimostrando che non è solo. La politica e i suoi Enti amministrativi devono essere a misura d’uomo per rispondere a problemi diversi da quelli “lobbistici”: molto più concreti, non monetizzabili. La politica deve parlare un linguaggio semplice e soprattutto deve saper ascoltare, pianificare e valutare concretamente i propri risultati in un’ottica di miglioramento continuo. Ritengo che ammettere i propri errori sia un punto di partenza essenziale, un segno di intelligenza e integrità in campo politico, come dicevo poco fa. E, di sicuro, dopo vent’anni di centro sinistra, nel 2017 sono stati compiuti errori di prospettiva e di scelta che hanno aumentato lo scollamento dei cittadini con l’Amministrazione (e prima ancora con la politica). Ladispoli ha registrato la più bassa affluenza di sempre in fase di ballottaggio, a testimonianza di una disaffezione profonda, come se la città fosse spaccata in due. Nessuna delle proposte in campo durante le elezioni del 2017 aveva al centro una vera visione di città. Quella di una Ladispoli cresciuta (troppo) in fretta, con tutti i disagi di una grande periferia romana e le potenzialità di una realtà di provincia variegata. Così il dibattito elettorale è apparso piuttosto come uno scontro tra fazioni: chi voleva riconfermare un modello gestionale ormai vecchio e pieno di falle; chi prometteva un cambiamento radicale rispetto a “chi c’era prima”; chi faceva dell’antipolitica e della diffidenza verso l’esercizio del ruolo amministrativo il baluardo della propria azione. Rivedendo oggi gli eventi, appare chiaro come lo scontro sia stato percepito dai cittadini come “di casta”. Legato a questioni lontane dai loro bisogni, agito da personaggi non rappresentativi, non in grado di proporre una reale alternativa (o speranza). I cittadini si sono trovati di fronte al dilemma del “meno peggio”e secondo questo criterio si sono espressi, identificando alternativa e speranza con una figura apparentemente nuova, giovane, capace di costruire opposizione (almeno a parole). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Scegliere a chi delegare la rappresentanza istituzionale attraverso un criterio così aleatorio è una sconfitta per tutti: per chi ha vinto, per chi ha perso e perfino per chi in quella tornata ha creduto di presentarsi come “altro”. Se quell’alterità non è stata sufficiente o sufficientemente chiara ai cittadini, c’è ancora molto su cui lavorare. Dalle ultime comunali c’è da imparare. Soprattutto per comprendere e chiarire ai cittadini ciò che non vogliamo essere; ciò che Ladispoli non si può più permettere. E da lí stabilire cosa vogliamo diventare. Insieme all’ampio e variegato gruppo con cui sto condividendo questi anni di opposizione, ci siamo interrogati spesso sul tema. Diversi esempi su “ciò che non vogliamo” ce li sta fornendo l’attuale Amministrazione. Non vogliamo un Sindaco che si vergogni della propria città o che si è ostinato per giorni a non emettere un’ordinanza di non potabilità dell’acqua. Non vogliamo un Primo Cittadino che permetta a un consigliere di rappresentarci tutti ad una manifestazione negazionista mentre il Covid imperversa in città o che risponde con arroganza agli oppositori così come ai cittadini. Non vogliamo un Comune distante da chi lo abita, chiuso nelle stanze dei bottoni e che si piega agli interessi dei privati senza anteporre quello della collettività. Non vogliamo un Comune che sacrifichi luoghi dei saperi e spazi culturali per cederli ad “altro”. Non vogliamo un Comune che discrimini, che divida, che aumenti l’iniquità sociale e il ripiegamento degli individui. Non vogliamo menzogne, omissioni. Non crediamo nelle promesse, false o vere che siano. Ladispoli ha bisogno di una fase di ricostruzione prima del rilancio e le vuote promesse sarebbero un gesto cieco e irrispettoso verso la comunità. Da queste basi possiamo iniziare a ragionare sulla prospettiva necessaria a rispondere alla voglia di cambiamento che c’è nel nostro paese. Riportare alla centralità i servizi alla persona è il fulcro su cui basare la nostra azione. Restituire all’area vasta delle disabilità la voce troppo spesso sottratta da logiche politiche di parte o da incompetenza. Intervenire sulla riqualificazione urbana, sul sostegno all’iniziativa giovanile, sull’inclusione. Agire sul territorio valorizzandone le qualità rimaste dopo decenni di cementificazione. Concretizzare l’evocazione di queste ed altre aspettative attraverso azioni programmate e continue, agire come i primi passi di un bambino. Con la cura e i tempi che richiedono, cercando le necessarie risorse e i migliori canali di collaborazione con gli Enti preposti. In questo contesto, vorrei spendere qualche parola per due progetti specifici sui quali mi batto da anni. Il primo progetto è legato al dibattito sul “dopo di noi” e al benessere dei cittadini affetti da disabilità che meritano profonda attenzione non solo riguardo la garanzia di servizi individuali e collettivi essenziali (ad oggi messi a dura prova dai tagli apportati dall’Amministrazione) ma anche per il futuro, che spetta soprattutto alle Istituzioni garantire attraverso processi inclusivi, di coesione sociale e integrazione di competenze. Sentir parlare di riformulazione del welfare oggi, se non ci si mette dentro niente, appare come un annuncio. E invece è necessario. Il secondo è la domiciliazione delle cure palliative, con un approccio che migliori la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie – che si trovano purtroppo ad affrontare problematiche enormi che creano disperazione e solitudine – attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza. Le idee in campo sono molteplici; condividerle con operatori e famiglie è il passaggio che affronteremo a breve al fine di comprenderne la fattibilità. La difficoltà, il dolore, la marginalità non sono fatti privati, in una comunità vera.”

L’attuale Sindaco è stato eletto con la lista civica Cuori Ladispolani, poi è passato alla Lega Salvini con relativa scrematura di Giunta, questo cambio nel codice a barre della politica ha influito nel fare opposizione?

“In questi anni abbiamo assistito a così tanti cambi di casacca interni alla maggioranza che quasi se ne perde il conto. Sia chiaro, questo non deve scandalizzare. Il sistema di elezione diretta del Sindaco a vocazione maggioritaria favorisce purtroppo cambi di schieramento oltreché di casacca. Le fibrillazioni del centro destra locale, non sono solo relative alla gestione amministrativa ma anche legate a tatticismi politici sovraccomunali; hanno fatto registrare alla maggioranza di Grando il più alto numero di passaggi consiliari da un gruppo all’altro. Un problema di trasformismo vero e proprio. A Ladispoli, piuttosto, ci sarebbe da analizzare cosa significhi svolgere un ruolo di opposizione. Chi siede in minoranza ha il compito di vigilare sull’operato di chi amministra, di dare suggerimenti nell’interesse generale. Un atteggiamento passivo, accomodante non può essere giustificato. Essere opposizione significa vigilare sulla cosa pubblica e far sentire la voce di quell’ampia parte di elettorato che non si riconosce in chi è al governo della città. Questo è stato il mandato degli elettori. Se è vero che molte volte “essere in maggioranza” ha coinciso col soddisfare interessi di una parte di comunità (imprenditoriale, elettorale, privata o nella maturazione delle scelte pubbliche) è altrettanto evidente che questo vizio di accomodamento può toccare l’opposizione, magari tentata dal ragionare sull’alternanza (oggi tocca a voi, domani a noi) piuttosto che sull’alternativa (ciò che fate non funziona, lo critichiamo, proponiamo altro, la città ha necessità di altro). Di certo a Ladispoli non mancano argomenti per costruire opposizione: quella dura, che non fa sconti, perché non può esistere una fase propositiva se prima non si denunciano e analizzano gli errori. Tanto più non può esistere oggi, dopo oltre tre anni di mandato della Giunta Grando. Una seria opposizione serve anche a chi governa poiché consolida la democrazia. La politica amministrativa non è un pranzo di gala a cui si siede vicini, eleganti e si parla amichevolmente del più e del meno. È invece fatta di scelte, di opzioni da valutare e scremare, di percorsi da intraprendere e di altri da abbandonare e, in questo, il pensiero unico sarebbe mortale. Mi auguro quindi di trovare sempre più occasioni per collaborare con gli altri Gruppi di opposizione sul fronte della vigilanza dell’attività amministrativa e della costruzione di prospettiva. Lavoriamo sin dall’inizio su un’idea di alternativa che sembra crescere col consenso di molte cittadine e cittadini da cui riceviamo attestati quotidiani di vicinanza alle istanze messe in campo.”

Trani è persona che ha dimestichezza con i numeri, e poiché i soldi restano comunque l’elemento di fondo di una governance, su quali basi finanziarie può contare il Comune di Ladispoli per navigare almeno in acque tranquille?

“Gli Enti locali , tutti, hanno grandi problemi finanziari e con questa crisi sarà sempre più difficile gestire le poche risorse. Se a questo si aggiunge la grave crisi economica della nostra partecipata “Flavia Servizi” – insieme ad altre scelte molto discutibili dell’amministrazione Grando – dovuta ad una gestione allegra e dalla scarsa competenza degli amministratori scelti dal Sindaco Grando, il tutto potrebbe apparire come una montagna difficile da scalare. L’Ente mantiene i conti in sicurezza, ma programmare senza le risorse necessarie sarà difficilissimo e quindi bisognerà pensare ad una organizzazione complessiva.”

Si parla di “Un nuovo inizio” da proporre alla cittadinanza, quindi un progetto di rilancio. Sappiamo che Ladispoli, come tutte le città, è un insieme di microcosmi: quartieri – realtà associative di vario genere – commercio – turismo etc. con differenti peculiarità che vanno tenute in seria considerazione e assecondate per rendere omogeneo il tessuto sociale. Tessuto sociale che al pari della Nazionale di calcio si ritrova compatto nella Sagra del Carciofo, (benemerita) ma nel quadro globale è possibile fare uno scatto di fantasia per rendere questa città un po’ più all’avanguardia, un po’ più simile, al pari di tante “sosia”  sparse per il Vecchio Continente, ad una Frazione d’Europa?

“Restituire a Ladispoli la sua posizione nell’Area Metropolitana. La nostra città deve consolidare la sua vocazione turistica, certo, rendendosi conto di come è cambiato il turismo stesso; la riqualificazione urbana è il primo passo, e che possa avvenire anche con un sostegno dell’Amministrazione, senza assistere più allo scempio degli scambi di volumetria. Guardiamo in faccia la realtà: attraversiamo una pandemia e, anche su questo, il Sindaco Grando non ha dato grande prova di sè, cercando di strumentalizzare manifestazioni, escludendo un dibattito condiviso e affidandosi, spesso, alla “buona stella”. Ecco, si deve riprendere da qui, le proposte che ho sostenuto anche sul bilancio con una revisione della fiscalità, vanno in questa direzione. Il centro della città deve camminare di pari passo con quelle che passano come zone periferiche, ormai molto popolate. Si può pensare ad un rilancio del Viale Italia pedonale (si potrebbe pensare di consentire a tutte le attività commerciali di occupare la parte centrale, che attualmente è occupata dalla carreggiata e trasformare il nostro corso in una sorta di Gran Via come nella capitale della Spagna); valorizzare luoghi anche nelle zone non centrali, per creare quella socialità di cui ci stiamo accorgendo abbiamo sempre più necessità, con serie politiche culturali, con uno sguardo importante alle  politiche giovanili”.
Redazione
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