giovedì, Marzo 28, 2024

Omicidio Vannini, i legali dei Ciontoli: “Motivazioni affette da conclamate illogicità ed erroneità”

“Le motivazioni rese dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma risultano affette da conclamate illogicità ed erroneità, che giungono ad adattare i dati probatori a convinzioni preconcette estranee al patrimonio istruttorio offerto dal processo”. I legali della famiglia Ciontoli, gli avvocati Andrea Miroli e Pietro Messina commentano le motivazioni della sentenza dell’Appello bis per l’omicidio di Marco Vannini. I giudici della Corte d’Appello hanno condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale il capofamiglia, Antonio Ciontoli, e a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario il resto dei componenti della famiglia: Martina e Federico Ciontoli e Maria Pezzillo.  “Il sostenere che gli imputati avrebbero pulito l’abitazione, il bossolo e la pistola, costituiscono, tra le molte altre incongruenze presenti in sentenza, congetture prive di concreti appigli istruttori, che saranno senz’altro oggetto di ferma censura nel prossimo ricorso per Cassazione”, spiegano i legali. “Confidiamo, infatti, che la Suprema Corte saprà ripristinare quell’inderogabile ordine di principi che purtroppo sembra essere rimasto sullo sfondo delle incommensurabili falsità, distorsioni, suggestioni e spettacolarizzazioni alimentate ad hoc in questa tragica vicenda per cinque lunghi anni”. Riflettori puntati anche sul commento del legale della famiglia Vannini, l’avvocato Celestino Gnazi: “A tal proposito, leggiamo anche le dichiarazioni del difensore di Parte Civile, Avv. Celestino Gnazi, il quale, nel fungere da “cassa di risonanza” delle motivazioni d’appello, e strizzando l’occhio al popolo dei social, è giunto perfino a riferire, tra l’altro, la propria legittima convinzione sul fatto che il prossimo processo di Cassazione saprà rendere la migliore “giustizia umanamente possibile”. “Quasi ad intendere che un eventuale giudizio favorevole agli imputati possa ritenersi cosa impensabile e ben lontana dalla “giustizia” attesa”. “Ebbene, non sappiamo quale sia l’effettiva concezione che il Collega possiede del termine “giustizia”, ma memori degli studi passati, siamo abbastanza certi che quella che conosciamo noi e che ritroviamo peraltro accolta nel sistema costituzionale del giusto processo, non è la stessa a cui il medesimo sembra alludere, più confacente, piuttosto, al “senso” di giustizia, di chiara matrice morale ed etica, purtroppo caratterizzante in peggio la visione di questa immane tragedia”. “Giustizia è patrimonio di Legge, niente più”. “Ricordiamo al Collega Gnazi, inoltre – hanno proseguito gli avvocati – che la soluzione cui è giunta la Corte d’Assise d’Appello di Roma non è frutto delle richieste delle Parti Civili, quanto piuttosto del recepimento acritico delle indicazioni contenute nella precedente sentenza di rinvio della Corte di Cassazione, pronuncia che peraltro è tuttora oggetto di forti critiche da parte del mondo giuridico – accademico”. “Inoltre, giova precisare che la Corte d’Assise d’Appello non ha affatto equiparato la posizione giuridica dei familiari a quella di Antonio Ciontoli, non recependo quindi ciò che invece le Parti Civili hanno incessantemente chiesto per ben cinque lunghi anni, senza però ottenere risultato”. “Eppure, alla luce della soluzione giuridica cui è pervenuta la Corte d’Assise d’Appello ci saremmo onestamente aspettati maggiore stupore nelle parole del difensore di Parte Civile, memori soprattutto delle passate dichiarazioni rilasciate dal medesimo nel 2018, quando, subito dopo la sentenza di primo grado, affermava che: “l’aver riconosciuto Antonio Ciontoli colpevole di omicidio volontario…direi che è stato…molto molto molto coraggioso”. “Nel 2020 prendiamo atto invece delle mutate convinzioni del difensore, in una visione che, seppur legittima, a nostro avviso resta comunque faticosamente coerente”. “Quanto agli espliciti avvertimenti di possibili future azioni giudiziarie nei confronti di chi avrebbe dimostrato una presunta “propensione alla reticenza”, ci limitiamo ad osservare che le sentenze di assoluzione passate in giudicato costituiscono un concreto “limite” posto dallo stato di diritto alle possibili derive ed ambizioni giustizialiste altrui, concedendo la facoltà a chi ne ha beneficiato di chiederne il rispetto nelle opportune sedi verso chiunque, magari nella foga del momento, ne abbia dimenticato il “senso””.
Redazione
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