venerdì, Aprile 26, 2024

Roma, dopo 28 anni riapre l’Arco di Giano al Velabro risalente al IV secolo

Dopo ventotto anni riapre al pubblico e diventa visitabile l’area archeologica dell’Arco di Giano, a Roma, un sito tra i più antichi e importanti dell’antica Caput Mundi. Per questa restituzione alla città, la Soprintendenza speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma si è affidata alla forza creativa della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, con uno spettacolo, in scena giovedì 28 ottobre alle 21.15 e alle ore 21.45, che affronta il tema del femminicidio. Si tratta di “Nu-Shu. Le parole perdute delle donne”, una action in nove minuti di Raffaele Curi. La Cancellata dell’Arco di Giano sarà aperta al pubblico ogni sabato a partire dal 30 ottobre. L’Arco di Giano al Velabro è un monumento di grande fascino e importanza al centro della Roma più antica. L’Arco, che fu interdetto al pubblico dopo l’esplosione dell’ordigno mafioso davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, riapre grazie a un accordo stretto dalla Fondazione Alda Fendi – Esperimenti con la Soprintendenza speciale di Roma. Tuttora conservato, sorge presso la chiesa di San Giorgio in Velabro, poco distante dal Tempio di Ercole e dal Tempio di Portuno, ed era stato edificato, ai margini del Foro Boario probabilmente alla metà del IV secolo. Probabilmente deve essere identificato con l’Arcus Divi Constantini citato dai Cataloghi regionari presso il Velabro. Il nome moderno non si riferisce al dio bifronte Giano, ma piuttosto deriva dal termine latino ianus, che indica un passaggio coperto, o una porta. Come gli iani testimoniati dalle fonti nel Foro Romano, non si trattava di un arco trionfale, ma probabilmente di una struttura destinata ai banchieri che operavano nel Foro Boario. L’edificio, che ha pianta quadrata ed è alto 12 m con 16 m di lato e presenta quattro massicci pilastri che sostengono una volta a crociera. Essi sono costruiti in cementizio e rivestiti da blocchi di marmo di reimpiego. Al di sopra doveva presentare un piano attico ed un tetto forse di forma piramidale, la cui struttura in opera laterizia, che in origine doveva ugualmente essere rivestita di marmo, fu demolita nel 1827 perché a torto ritenuta parte della fortificazione medioevale impiantata sopra l’edificio romano ad opera dei Frangipane (che ne avevano anche chiuso i fornici). Nei piloni vi sono molte nicchie che forse ospitavano statue in grandezza quasi naturale, esse sono 12 su ogni faccia Est ed Ovest e 2 su ogni faccia Nord e Sud e altre 10 sono finte. In totale quindi 28. Le nicchie in origine dovevano ospitare statue ed erano inquadrate da edicole con piccole colonne, oggi perdute, poggianti sui cornicioni, ed erano coperte da una semicupola a conchiglia scolpita nei blocchi di marmo del rivestimento. Gli unici resti conservati della decorazione scultorea sono rappresentati dalle quattro figure femminili sulle chiavi di volta: si riconoscono con sicurezza la dea Roma sul lato orientale e Minerva sul lato settentrionale, mentre l’identificazione delle altre due figure come Giunone e Cerere presenta maggiori incertezze.
Redazione
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