giovedì, Aprile 25, 2024

Sanremo, il monologo di Paola Egonu: “Sono quella a cui lo sport ha dato tanto ma che non crede che la sconfitta sia solo quando perdi la partita”

C’era grande attesa per i temi del monologo di Paola Egonu, co-conduttrice della terza serata del Festival, dopo la recente intervista a Vanity Fair in cui la pallavolista di Cittadella aveva raccontato dagli episodi di razzismo subiti, dei suoi sacrifici per seguire la carriera sportiva e il timore di mettere al mondo un figlio “dalla pelle nera” che potrebbe rivivere la crudeltà che lei, da sempre, ha dovuto sperimentare. “Accusata di vittimismo solo per avere raccontato alcune brutte esperienze”, la Egonu affronta serenamente il proprio monologo e si racconta per “trasmettere amore ed empatia”. La campionessa parla del proprio quotidiano: “Sono quella a cui lo sport ha dato tanto ma che non crede che la sconfitta sia solo quando perdi la partita. Anche se vinciamo ma io sbaglio succede che la viva come una sconfitta”. Lei è quella a cui tocca “la palla che scotta perché sono un’attaccante”. E ancora sullle critiche: “Alcune sono costruttive, altre gratuite e altre ancora dei macigni. Sto imparando a dargli il giusto peso”. La pallavolista spiega: “Cerco di ricavare da ogni giorno un insegnamento e così è stato anche nelle settimane di avvicinamento al Festival. Spesso in passato sono stata definita ermetica, così nel tempo mi sono impegnata a raccontarmi di più, provando a ridurre al minimo lo spazio di interpretazione. Questo non ha evitato comunque che alcune frasi venissero strappate dal contesto, tagliate, incollate in senso casuale e fiondate sui giornali come titoli usati per far rumore. Ho imparato che ogni pensiero, una volta che si trasforma in parola e viene condivisa con qualcuno, non è più sotto il pieno controllo di chi l’ha pronunciata. Questo mi ha ricordato che dovremmo sempre cercare di risalire all’origine. Io sono la prima di tre fratelli, e devo tutto a mamma Eunice e papà Ambrose.  Sono loro che mi hanno permesso di vivere un’infanzia felice, che mi hanno sostenuta e che mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnartela. Senza temere i sacrifici. Mi hanno aiutata a trovare il mio percorso, anche se questo ha significato per loro vedermi andare via di casa a 13 anni”. Dopo aver ringraziato la famiglia per averla sempre sostenuta, racconta che da bambina era fissata coi “perché”: “Perché sono alta? Perché mio nonno vive in Nigeria? Perché mi chiedono se sono italiana? Poi sono diventata più grande e i perché sono continuati. Perché mi sento diversa? Perché vivo questa cosa come una colpa? Perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa? Con il tempo ho capito che questa mia diversità è la mia unicità. E che nella domanda ‘Perché io sono io?’ c’è già anche la risposta: ‘Perché io sono io!”. Nel monologo un passaggio chiave: “Io sono quella che quando oggi ancora mi fanno una domanda sul razzismo, rispondo così: “Prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l’acqua. Vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente, solo perché il suo contenuto è più limpido. Eppure, se proverete a bere da uno dei bicchieri colorati, scoprirete che l’acqua ha sempre lo stesso gusto,” perché siamo tutti uguali oltre le apparenze. E se questo non è ancora abbastanza…in Veneto noi diremmo “Moeghea” ossia “Dai, smettila!”.
Redazione
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