venerdì, Aprile 26, 2024

Covid, parla il professor Crisanti: “l’Italia quando scoppiò l’epidemia aveva un manuale di istruzione che però fu scartato”

Il microbiologo Andrea Crisanti, nella sua relazione agli atti dell’inchiesta di Bergamo sulla gestione del Covid in val Seriana nella Bergamasca, ricorda che “l’Italia, quando scoppiò l’epidemia, aveva un manuale di istruzione”. Ma questo piano sarebbe stato “scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del ministero, ai quali l’ex ministro Speranza fa riferimento quando afferma che il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale”. Tra gli indagati ci sono l’ex premier Conte, il presidente della Regione Lombardia Fontana e l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza. Il piano fu segretato per non “allarmare”. Inoltre la “task force il 12/2 sapeva della vulnerabilità dell’Italia”. Nella consulenza del microbiologo agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo e, in particolare, nel capitolo che riguarda la mancata zona rossa in Val Seriana, si legge che “la ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese la fornisce il presidente Conte quando, nella riunione del 2 marzo 2020, afferma che la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato”. “Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio”. L’allora ministro Roberto Speranza, “il prof Brusaferro, il dott. Miozzo, il dott. D’Amario erano a conoscenza del Piano Covid, degli scenari di previsione e della gravità della situazione e presero la decisione di segretare il piano per non allarmare l’opinione pubblica”. Circostanza di cui erano “a conoscenza anche i vertici di Regione Lombardia”. È quanto scrive sempre Andrea Crisanti che parla di “responsabilità degli organi decisionali nazionali (Cts, ministero della Sanità e Presidenza del Consiglio) e di Regione Lombardia” nella mancata zona rossa in Val Seriana. Nei giorni 27 e 28 febbraio 2020 “il Cts e il ministro Speranza hanno tutte le informazioni sulla progressione del contagio che dimostravano come lo scenario sul campo fosse di gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico”. E le “informazioni sulla gravità della situazione” ad Alzano e Nembro furono oggetto di una riunione del Cts del 2 marzo “non verbalizzata ufficialmente alla presenza del ministro Speranza e del presidente Conte”. Speranza e Conte “raccontano alla Procura di Bergamo di essere venuti a conoscenza del caso di Alzano e Nembro rispettivamente il 4 e il 5 marzo”, ricostruisce Crisanti nella consulenza. “La documentazione acquisita – scrive Crisanti – dimostra oltre ogni ragionevole dubbio di come il Cts, il Ministro Speranza e il Presidente Conte avessero a disposizione tutte le informazioni e gli strumenti per valutare la progressione del contagio e comprendere le conseguenze in termini di decessi”. E sulla base “delle previsioni dello scenario con Rt 2 il Cts stesso e il ministro Speranza condivisero la decisione di secretare il Piano Covid”, elaborato dall’epidemiologo Stefano Merler, “per non allarmare l’opinione pubblica”. Sulla riunione del 2 marzo del Cts con Conte e Speranza, Crisanti scrive che “il Dott. Miozzo stende il verbale che non condivide con nessuno e rimane in suo possesso”. Nella consulenza viene riportato anche quel “modello matematico” con cui Crisanti ha stimato l’effetto che misure più restrittive e tempestive, come la zona rossa, avrebbero avuto “sulla diffusione del virus e della mortalità”. La zona rossa in Val Seriana, si legge, “al giorno 27 febbraio 2020 e al giorno 3 marzo 2020 avrebbe permesso di evitare, con una probabilità del 95%, rispettivamente 4.148 e 2.659 decessi”. Il 27 febbraio, secondo la consulenza, è la data in cui “il Cts e Regione Lombardia erano diventati consapevoli della gravità della situazione”. Anche il governatore lombardo Attilio Fontana e l’allora assessore Giulio Gallera erano “informati sulla previsione degli scenari e sulla decisione di segretare il piano Covid”. Sapevano, stando alla relazione, così come “gli organi decisionali nazionali, che al più tardi il 28 febbraio” l’indice di trasmissione aveva raggiunto e “superato il valore di due”. E la “diffusione del contagio non lasciava dubbi che le azioni intraprese non stavano avendo effetto”. E “ciononostante – scrive ancora il microbiologo – per 10 giorni non vengono prese azioni più restrittive”. “Già dal giorno 12.02.2020”, ossia otto giorni prima di Paziente 1, i componenti “prima della task force del ministero e poi del Cts, erano consapevoli della difficoltà di reperire Dpi e materiali per la loro produzione e quindi conoscevano la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia e del rischio a cui avrebbero esposto la popolazione e gli operatori sanitari non prendendo iniziative idonee”.
Redazione
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