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Istanza dell’ANPI al Prefetto: “Cancelli Piazza Almirante a Ladispoli: è apologia del fascismo”

Istanza dell’ANPI al Prefetto: “Cancelli Piazza Almirante a Ladispoli: è apologia del fascismo”

13 Marzo 2019

Il testo dell’istanza di annullamento dell’intitolazione di Piazza Giorgio Almirante a Ladispoli inviata al Prefetto della Provincia Roma dal Vice Presidente nazionale e legale dell’ANPI, Avv. Emilio Ricci, a nome della Presidente Carla Nespolo

Roma, 12 marzo 2019

Ill.mo Sig.

Prefetto della Provincia di Roma

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Egr. Sig.

Sindaco del Comune di Ladispoli

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Oggetto: Istanza di annullamento del decreto n. 0083787 del 28.2.2019 di autorizzazione della proposta di intitolazione della piazza Giorgio Almirante e della delibera di Giunta Comunale n. 234 del 23.11.2018

Formulo la presente in nome e per conto della sen. Carla Nespolo, nella sua qualità di Presidente nazionale pro tempore dell’A.N.P.I. – Associazione nazionale partigiani d’Italia, Ente morale, con sede in Roma, Via degli Scipioni n. 271, nominata con delibera del Comitato nazionale ai sensi dell’art. 5 dello Statuto dell’A.N.P.I., approvato con d.l. 5 aprile 1945 e succ. mod., per esporre quanto segue.

In data 11.3.2019 l’Associazione da me assistita veniva a conoscenza del decreto prefettizio n. 0083787 del 28.2.2019 di autorizzazione della proposta di intitolazione della piazza Giorgio Almirante e della delibera di Giunta Comunale n. 234 del 23.11.2018, e ritenendole assolutamente illegittime, illecite e ingiuste, ne chiede l’annullamento in via di autotutela, per i seguenti motivi.

Giorgio Almirante, già segretario della giunta esecutiva del Movimento Sociale italiano, già redattore capo di “Il Tevere”, quotidiano fascista diretto all’epoca da Telesio Interlandi e di ‘Difesa della razza”, capo Gabinetto del Ministero della Cultura popolare della Repubblica di Salò, nel 1947 venne deferito alla Commissione Provinciale della Questura di Roma per il confino quale elemento pericoloso all’esercizio delle libertà democratiche, non solo per l’acceso fanatismo fascista dimostrato sotto il passato regime e particolarmente in periodo repubblichino, ma più ancora per le sue manifestazioni politiche di esaltazione dell’infausto ventennio fascista e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche ai quali ha informato la sua attività, tendente a far rivivere istituzioni deleterie alle pubbliche libertà e alla dignità del Paese. Peraltro, Almirante, per i fatti di piazza Colonna, fu accusato di apologia di fascismo e il 4 novembre 1947 gli fu inflitta una condanna di 12 mesi di confino, poi successivamente sospesa con provvedimento disposto dal Questore di Roma.

Nel 1947 venne condannato per collaborazionismo con le truppe naziste; per questo reato venne emesso nei suoi confronti un provvedimento di confino di polizia. Il 5 maggio 1958 al termine di un comizio a Trieste, Almirante venne denunciato dalla Questura per «Vilipendio degli Organi Costituzionali dello Stato» Il 16 giugno 1971 il Procuratore della Repubblica di Spoleto, Vincenzo De Franco, chiese alla Camera dei Deputati l’autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante per i reati di “Pubblica Istigazione ad Attentato contro la Costituzione” e “Insurrezione Armata contro i Poteri dello Stato”. L’autorizzazione venne concessa il 3 luglio 1974 dalla Camera dei deputati, con la contrarietà del solo MSI. Il segretario missino durante il congresso del partito, fece chiaro riferimento ai regimi di Salazar, Papadopoulos e Franco.

Nel giugno 1972 l’allora Procuratore generale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa chiese alla Camera dei Deputati l’autorizzazione a procedere nei confronti di Almirante per tentata ricostituzione del Partito fascista. Nel documento redatto dal Procuratore Generale si legge:«Le numerose note a me pervenute in risposta alle mie richieste elencano un gran numero di fatti che testimoniano dell’uso della violenza nei confronti degli avversari politici e delle forze dell’ordine, della denigrazione della democrazia e della resistenza, dell’esaltazione di esponenti e principi del regime fascista, nonché di manifestazioni esteriori di carattere fascista da parte di esponenti di varie organizzazioni dell’estrema destra. […] è poi risultato che una parte preponderante di tali comportamenti trae origine dal Movimento sociale italiano (MSI), come si ricava dalla stampa di tale partito di cui in atti, sia dal particolare che molti dei fatti riferiti nelle varie note ufficiali allegate sono stati consumati da appartenenti alle varie organizzazioni di detto movimento, talvolta isolatamente, più spesso uniti fra loro […].».

Nell’estate del 1971 alcuni storici dell’Università di Pisa rinvennero negli archivi del comune di Massa Marittima la copia anastatica di un manifesto, a firma di Giorgio Almirante, che riportava quanto segue: PREFETTURA DI GROSSETO

UFFICIO DI P. S. IN PAGANICO COMUNICATO. Si riproduce testo del manifesto lanciato agli sbandati a seguito del decreto del 10 aprile. “Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. Entro le ore 24 del 25 maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell’intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia.” p. il Ministro Mezzasoma – Capo Gabinetto GIORGIO ALMIRANTE. Dalla Prefettura 17 maggio 1944 – XXII»

Il manifesto fu pubblicato il 27 giugno 1971 dal quotidiano l’Unità col titolo Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi.

Almirante rispose con un consistente numero di querele, sostenendo che si trattava di «una vergognosa campagna stampa» e di «un’ignobile infamia». Il procedimento principale, con sede a Roma, venne istruito dai pubblici ministeri Vittorio Occorsio e Niccolò Amato e si articolò lungo il corso di ben sette anni; Almirante oppose un gran numero di eccezioni, ma nel giugno del 1974 vennero rinvenute negli Archivi di Stato e prodotte in giudizio inequivocabili prove documentali attestanti la veridicità del documento:

– il documento originale recante la firma di Almirante, la lettera della Prefettura che accompagnava l’invio dei manifesti e la missiva del Vicecommissario Prefettizio che dava conferma dell’affissione.

– un telegramma risalente all’8 maggio 1944 firmato proprio da Almirante – all’epoca Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare – in cui si sollecitava l’affissione del manifesto in questione in tutti i comuni della provincia di Grosseto

– una circolare dello stesso periodo in cui Almirante disponeva – in quanto curatore della propaganda del Decreto Graziani (che disponeva, appunto, le modalità di repressione dei gruppi partigiani) – anche la divulgazione delle comunicazioni delle autorità tedesche in materia.

Il procedimento si concluse con il rigetto integrale delle pretese di Almirante nei confronti dei giornalisti de L’Unità, poiché risultava che i giornalisti avevano “dimostrato la veridicità dei fatti” e che dunque il manifesto rivolto agli sbandati era da attribuirsi proprio ad Almirante.

Da ultimo non va dimenticato un articolo scritto da Giorgio Almirante sul quotidiano “La Difesa della Razza”: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli […]. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei […]. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue.» (Giorgio Almirante, in “La Difesa della razza”, 5 maggio 1942) e citato in: Razzismo: ecco cosa scrisse Almirante, “Corriere della Sera”, 28 maggio 2008 e in Mario Caprara e Gianluca Semprin, Neri, la storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista, Edizioni Tascabili Newton 2011 pag. 594)

Dedicare una strada pubblica a Giorgio Almirante vuol dire celebrarlo e celebrare il fascismo.

Consentire la celebrazione di Giorgio Almirante significa disattendere e violare il dettato della Costituzione. La XII disposizione di attuazione della Carta vieta la ricostruzione del partito fascista e quindi i valori del fascismo.

La legge Scelba e la legge Mancino, infatti, sanzionano in maniera anche penalmente rilevante l’apologia del fascismo quando apologia vuol dire esaltazione del regime, esaltazione dei principi, delle figure che al fascismo hanno fatto riferimento. L’art. 4 l. 20 giugno 1952, n. 645, infatti, punisce «chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo».

Consentire l’intitolazione della strada a Giorgio Almirante costituirebbe apologia del fascismo.

Né si può affermare che vietando la celebrazione si neghino le libertà costituzionalmente tutelate come quella di manifestazione del pensiero.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza del 2015, visto l’art. 10 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, ha espresso il principio per cui taluni diritti si possano anche comprimere nel momento in cui questi non sono conformi a quelli che sono i principi generali dell’ordinamento costituzionale dei vari Paesi.

Allo stesso tempo, intitolare una strada pubblica a Giorgio Almirante integrerebbe altresì gli estremi del reato di apologia di delitto, previsto dall’art. 414 comma 3 c.p. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha affermato che l’elemento oggettivo di tale fattispecie «consiste nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la violazione delle norme penali» (Cass., sez. I, 17 novembre 1997, Gizzo, in C.e.d. Cass. n. 209140). Poiché è indubitabile che la figura di Giorgio Almirante rievochi ed esalti i metodi fascisti, la sua celebrazione è certamente interpretabile come apologia dei reati commessi.

Alla luce di quanto esposto, si invita l’Ill.mo Prefetto ad annullare il decreto n. 0083787 del 28.2.2019 di autorizzazione della proposta di intitolazione della piazza Giorgio Almirante e la Giunta del Comune di Ladispoli ad annullare la delibera di Giunta Comunale n. 234 del 23.11.2018 in quanto illecite e illegittima, entro 7 gg. dal ricevimento della presente, decorso inutilmente il quale si adirà la competente autorità giudiziaria.

Avv. Emilio Ricci

Redazione
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