martedì, Aprile 30, 2024

Brexit, Theresa May in un video su Twitter cerca di spiegare agli inglesi cosa sta facendo il suo governo

Rilassata, seduta sul divano e sorridente. Dopo il comunicato ufficiale sulla Brexit la premier britannica ha deciso di rivolgersi direttamente al popolo con un video messaggio su Twitter che gli analisti giudicano diverso dai soliti, meno impostato. “Negli ultimi giorni la gente mi ha chiesto che diamine stia succedendo. E lo capisco, perché dopo tutto sono passati tre anni da quando abbiamo votato al referendum”, esordisce la primo ministro nel filmato di 2 minuti che ricapitola gli sviluppi delle ultime settimane e ribadisce la volontà della May di veder approvato il suo accordo dal parlamento così da poter lasciare l’Unione europea nei tempi previsti. “Il parlamento – prosegue la premier – ha anche votato una legge per impedire il divorzio senza un accordo. Quindi la scelta che ci si para davanti adesso è: o lasciare l’Ue con un accordo o non lasciarla affatto”. “Io penso, il governo pensa, che dobbiamo trovare un accordo, dobbiamo realizzare Brexit”, ripete May come un mantra. Questo vuole dire “un nuovo approccio. E quindi dialoghi trasversali con tutti i partiti”, dice sottolineando che in fondo quando il popolo ha votato per il divorzio da Bruxelles “non ha votato per il programma di un partito” e che “la gente forse vorrebbe che i politici lavorassero insieme più spesso”. Infine la premier precisa di essere in disaccordo con il Labour su “molte questioni politiche” ma di concordare su diversi temi quando si tratta di Brexit. “Certo, si tratterà di fare compromessi da entrambi le parti ma credo che realizzare la Brexit sia la cosa più importante di tutti”, conclude. Theresa May ammette per la prima volta che l’unico modo per far passare a Westminster il suo accordo di divorzio dall’Unione europea è con l’aiuto del partito d’opposizione: in un comunicato reso noto nella tarda serata di sabato, la premier britannica ha dichiarato di “aver fatto tutto ciò che era in suo potere” per persuadere il suo partito e i nordirlandesi del Dup ma a questo punto “deve tentare un approccio diverso”. “Non ho altra scelta che tendere la mano al resto del Parlamento”, ha poi riconosciuto. La premier ha quindi sottolineato: “Poiché il parlamento ha chiarito che fermerà l’uscita del Regno Unito senza un accordo, ora abbiamo una scelta netta: lasciare l’Unione europea con un accordo o non andarcene affatto”. E poi: “Più tempo ci vuole, maggiore è il rischio che il Regno Unito non esca mai. Significherebbe lasciare che la Brexit che il popolo britannico ha votato ci scivoli tra le dita. Io non sosterrò questo. È essenziale garantire ciò per cui la gente ha votato, e per farlo dobbiamo ottenere un accordo”. Intanto, la responsabile della politica legale del Labour, Shami Chakrabarti, è scettica sui colloqui tra May e il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn: “Finora, la nostra impressione è che la signora May non si sia mossa di un millimetro sulle sue linee rosse”, ha detto Chakrabarti. Entrando nel merito dei nodi su cui si registrano divergenze, “è difficile immaginare che faremo reali progressi – ha proseguito Chakrabarti a Sky News – senza elezioni generali o un secondo referendum”. Il cancelliere dello Scacchiera Philip Hammond si è detto invece “ottimista” sulla possibilità di raggiungere un’intesa con i laburisti. A margine di un’Ecofin informale a Bucarest il ministro delle Finanze ha spiegato che il governo “non ha linee rosse”. Le conversazioni con il Labour sono in corso, ha sottolineato – e teniamo aperta ogni possibilità: il Parlamento sarà in seduta la settimana prossima, quando dovrebbe essere in pausa, in modo che se avremo qualcosa da sottoporre, potremo farlo subito”. Se al vertice straordinario del 10 aprile i 27 dovessero concedere l’estensione a Londra il governo dovrà iniziare a correre davvero per raggiungere e poi far passare un qualche accordo di divorzio. Per il premier irlandese Leo Varadkar è “altamente improbabile” che qualche leader Ue ponga il veto perche’ causerebbe “danni economici e politici” ad altri stati membri in caso di no deal e per questo “non sarebbe perdonato”. Hammond ha anche confessato di comprendere che “i colleghi dell’Ue siano stufi, dato che ci vuole ancora tempo” e ha ammesso di “non poterne più neanche noi”. Un sentimento che pare sia condiviso da molti a Westminster. Secondo il medico ed ex deputato conservatore Phillip Lee, che si è dimesso l’anno scorso per fare campagna contro la Brexit, i parlamentari sono “visibilmente provati” da mesi di dibattiti. “Ho visto gente, piangere, arrabbiarsi, litigare perlopiù per stanchezza. Il parlamento è diventato una pentola a pressione”, ha raccontato Lee al Financial Times esprimendo preoccupazione per la capacità dei deputati, a questo punto, di “prendere decisioni vitali per il Paese”. Ma la crisi di nervi non è appannaggio solo dei politici. In quasi tre anni la Brexit ha messo alla prova l’equilibrio mentale di tutto il Regno Unito. Lo dimostra un recente reportage del Guardian che ha chiesto ai suoi lettori di raccontare come stanno vivendo questi mesi di incertezza. “Incubo”, “ansia”, “insonnia”, “stress”, “terrore”, “rabbia” le parole più ricorrenti nelle testimonianze. E secondo un sondaggio della società di consulenza British Thanks il processo di divorzio da Bruxelles ha avuto un impatto negativo sulla psiche del 64% dei britannici.
Redazione
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