Caso Vannini- sullo sfondo l’attesa della sentenza della Cassazione all’inizio del 2020
“Maria Pezzillo mi chiese, via whatsapp, se potevo aiutarla facendo sapere a Tonino (Antonio Ciontoli) come si chiamavano il medico e le infermiere che erano presenti quella notte al Pit”
di Alberto Sava
Una premessa importante: sullo sfondo della sentenza della Cassazione attesa all’inizio del 2020 affiora una nuova notizia. Al complesso puzzle delle testimonianze si aggiunge un un’altra tessera: una donna, durante una puntata di Quarto Grado, ha dichiarato di essere una conoscente della famiglia Ciontoli e che ai tempi dell’omicidio lavorava al Pit di Ladispoli. Subito dopo la morte del ragazzo, la testimone sarebbe stata contattata via whatsapp da Maria Pezzillo: “Mi diceva se potevo aiutarla facendo sapere a Tonino (Antonio Ciontoli) come si chiamavano il medico e le infermiere che erano presenti quella notte al Pit”. La famiglia Ciontoli è in quel momento in caserma per i primi interrogatori, intanto Maria Pezzillo si sarebbe preoccupata di queste informazioni. “In quelle ore il Pit era blindato, nel frattempo si venivano a sapere sempre più notizie tra i colleghi”, narra la donna. “Si diceva che al ragazzo avevano sparato e non si sapeva la dinamica. Ho capito che essendo successo a casa loro, quella richiesta non era una cosa limpida”. Ho capito che c’era qualcosa che non andava. E non mi piaceva questa situazione, così ho risposto che non potevo bussare per sapere come si chiamano”. Quella richiesta è sembrata strana alla testimone anche per il rapporto che ci sarebbe stato tra lei e la moglie di Ciontoli: “Di solito mi veniva a cercare, ma noi non ci frequentavamo. Dopo quella richiesta, ho chiuso con loro e ho cancellato il numero non sentendola più”. Sembra che questa testimonianza non troverebbe riscontro dai tabulati, perché nelle carte emergono solo i contatti via telefono e non tramite Internet, che è invece la rete tramite cui avviene il traffico WhatsApp. La nuova testimonianza non è l’unica apparsa davanti alle telecamere di Quarto Grado. Infatti, anche il tolfetano Davide Vannicola è stato al centro di clamorose dichiarazioni. L’artigiano di Tolfa aveva riferito alla Procura di Civitavecchia di una confidenza fatta dall’ex comandante della Caserma dei Carabinieri di Ladispoli, secondo la quale a sparare a Marco Vannini non sarebbe stato Antonio Ciontoli. Arricchendo la sua testimonianza che ampliò affermando “Tutti i CC di Ladispoli sanno come sono andate le cose”: dichiarazione rilasciata da Vannicola al microfono di Anna Boiardi di Quarto Grado. Ma le accuse dell’artigiano di Tolfa non hanno trovato riscontri nell’inchiesta. La Procura ha infatti archiviato il tutto. A margine dell’archiviazione del fascicolo a carico del maresciallo Izzo, Vannicola si è per altro molto risentito in merito ai dubbi espressi in modo molto franco e deciso dai giornalisti presenti, durante la sua partecipazione a Quarto Grado. Preso atto di ciò, il testimone è stato per altro di nuovo invitato in trasmissione, per una sorta di ‘diritto di replica’, ma i veli che oggettivamente avvolgono le circostanze della morte di Marco Vannini non sono caduti. Archiviato in qualche modo Vannicola, pare ci sia una nuova testimone, ma anche in questo caso i riscontri sembrano difficili da individuare. È iniziata una triste lotta contro il tempo, verso il mese di febbraio, quando la Cassazione si pronuncerà comunque in modo definitivo su questo caso: o dichiarando chiuso ogni tentativo di rilettura degli accadimenti, o rimettendo in moto la vicenda processuale, ed allora potrebbe iniziare tutta un’altra storia.