venerdì, Marzo 29, 2024

Giovanni Falcone, il magistrato che portò alla sbarra Cosa nostra

Giovanni Falcone nacque in una famiglia benestante: il padre, Arturo Falcone (1904-1976), era il direttore del laboratorio chimico di igiene e profilassi del comune di Palermo e la madre, Luisa Bentivegna (1907-1982), era figlia di un noto ginecologo della stessa città. Terzo figlio, aveva due sorelle maggiori: Anna (1934) e Maria (1936). Nacque il 18 maggio 1939 a Palermo in via Castrofilippo nel quartiere della Kalsa, lo stesso di Paolo Borsellino e di molti ragazzi futuri mafiosi come Tommaso Buscetta. Il parto ebbe una particolarità: nel momento in cui nacque, dalla finestra aperta entrò una colomba, simbolo di pace che, come testimoniano i parenti, la famiglia terrà con sé in casa.
Falcone vinse il concorso ed entrò nella magistratura italiana nel 1964 e in quello stesso anno nella Basilica della Santissima Trinità del Cancelliere sposò Rita Bonnici, maestra elementare. Nel 1965, a soli 26 anni, divenne pretore a Lentini: uno dei suoi primi casi fu quello di una persona morta per un incidente sul lavoro. A partire dal 1966 fu poi, per dodici anni al tribunale di Trapani, nei primi anni come sostituto procuratore e giudice istruttore. A poco a poco, nacque in lui la passione per il diritto penale. Nel 1967, istruì il primo processo importante, quello alla banda mafiosa del boss di Marsala, Mariano Licari. Nell’aprile del 1969 la malattia del padre, un tumore all’intestino che lo avrebbe poi portato alla morte nel 1976, lo toccò profondamente. In quegli anni Giovanni Falcone stava mutando profondamente, a cambiarlo non fu solo la mancanza del riferimento paterno ma intervennero anche fattori esterni. Grazie a un assegno bancario dell’importo di centomila dollari cambiato presso la Cassa di Risparmio di piazza Borsa di Palermo, Falcone trovò la prova che Michele Sindona si trovava in Sicilia smascherando quindi il finto sequestro organizzato a suo favore dalla mafia siculo-americana alla vigilia del suo giudizio. Nei primi giorni del mese di dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a New York per discutere di mafia e stringere una collaborazione con Victor Rocco, investigatore del distretto est. Entrando negli uffici di Rudolph Giuliani rimase stupito dall’efficienza e dai loro strumenti, fra i quali c’era per esempio il computer. Falcone seppe instaurare subito un rapporto di fiducia con Giuliani e con i suoi collaboratori Louis Frech e Richard Martin, oltre che con gli agenti della Dea e dell’Fbi. Grazie a questa collaborazione riuscirono a sgominare il traffico di eroina nelle pizzerie. Anche la stampa americana seguiva con attenzione questa sinergia e presentava la figura di Falcone con stima e grandissimo favore. Nonostante la buona collaborazione con l’allora U.S. Attorney (Procuratore Federale) per il distretto sud di New York Rudy Giuliani, Falcone non nascose perplessità nei suoi confronti circa la sua integrità.
In quegli anni si registra l’ascesa dei “Clan dei Corleonesi”, i quali impongono il proprio potere criminale con vari omicidi, spesso riportati in primo piani dalla stampa locale come nel caso del quotidiano palermitano L’Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le vittime dei conflitti tra fazioni mafiose rivali. Tra le vittime di Cosa nostra vi furono anche personaggi come Pio La Torre, principale artefice della legge Rognoni-La Torre, e il generale dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il 6 giugno 1983 Rosario Spatola fu condannato, insieme con 75 esponenti della cosca Spatola-Gambino-Inzerillo, a dieci anni di reclusione ma sarebbe stato arrestato a New York dall’FBI, in collaborazione con la polizia italiana, solo nel 1999. In precedenza per indagare su Spatola avevano già perso la vita il capo della Mobile Boris Giuliano e il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Il processo Spatola fu quindi molto delicato, ma rappresentò anche un grande successo per Falcone perché venne così universalmente riconosciuto il “metodo Falcone”.
Il progetto del cosiddetto pool antimafia nacque dall’idea di Rocco Chinnici, inizialmente avvalendosi della collaborazione di Falcone, di Paolo Borsellino e di Giuseppe Di Lello, ma successivamente sarebbe stato sviluppato da Antonino Caponnetto (subentrato a Chinnici, ucciso il 29 luglio 1983) che, nel marzo 1984, avrebbe poi costituito un “pool” composto da quattro magistrati (nel frattempo si era aggiunto anche Leonardo Guarnotta) affinché coordinasse le indagini sfruttando l’esperienza maturata e quello sguardo d’insieme e sul fenomeno mafioso portato da Falcone. I quattro magistrati erano affiatati, amici e con un sogno comune: restituire la città ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti. Il pool doveva occuparsi dei processi di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, sia per garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile di tutte le componenti del fenomeno mafioso.
La validità del nuovo sistema investigativo si dimostrò subito indiscutibile, e sarà fondamentale per ogni successiva indagine, negli anni a venire. Ma una vera e propria svolta epocale alla lotta a Cosa Nostra sarebbe stata impressa con l’arresto di Tommaso Buscetta, il quale, dopo una drammatica sequenza di eventi, decise di collaborare con la giustizia italiana. Il suo interrogatorio, cominciato a Roma nel luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del nucleo operativo della criminalpol, si rivelerà determinante per la conoscenza non solo di determinati fatti, ma specialmente della struttura e delle chiavi di lettura dell’organizzazione definita Cosa Nostra.
Dopo l’omicidio di Giuseppe Montana e Ninni Cassarà nell’estate 1985, stretti collaboratori di Falcone e di Paolo Borsellino, si cominciò a temere per l’incolumità anche dei due magistrati, che furono indotti per motivi di sicurezza a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell’Asinara; per tale periodo il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso. Qui iniziarono a preparare l’istruttoria. Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dalle indagini di Falcone e di tutto il pool portarono così a costituire il primo grande processo contro la mafia in Italia, passato alla storia come il maxiprocesso di Palermo, che iniziò il 10 febbraio 1986 e terminò il 16 dicembre 1987. La sentenza inflisse 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.
Nel dicembre 1986, Borsellino viene nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e lascia il pool. Come ricorderà Caponnetto, a quel punto gli sviluppi dell’istruttoria includono ormai quasi un milione di fogli processuali, rendendo necessaria l’integrazione di nuovi elementi per seguire l’accresciuta mole di lavoro; entrarono poi a far parte del pool altri tre giudici istruttori: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte.
Falcone venne assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992. Stava tornando, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il jet di servizio partito dall’aeroporto di Ciampino intorno alle 16.45 arriva all’aeroporto di Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Il boss Raffaele Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, che guidò le tre Fiat Croma blindate dalla caserma “Lungaro” fino a Punta Raisi, dove dovevano prelevare Falcone; Ganci telefonò a Giovan Battista Ferrante (mafioso di San Lorenzo, che era appostato all’aeroporto) per segnalare l’uscita dalla caserma di Montinaro e degli altri agenti di scorta. Circa venti minuti dopo, Giovanni Falcone viene trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell’Arma dei Carabinieri presso l’ospedale civico di Palermo. Gli altri agenti e i civili coinvolti vengono anch’essi trasportati in ospedale mentre la polizia scientifica eseguì i primi rilievi e il corpo nazionale dei Vigili del Fuoco provvide all’estrazione dalle lamiere i cadaveri, resi irriconoscibili, degli agenti della Polizia di Stato di Schifani, Montinaro e Dicillo. Intanto la stampa e la televisione iniziarono a diffondere la notizia di un attentato a Palermo e il nome del giudice Falcone trova via via conferma. L’Italia intera sgomenta, trattiene il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, sinché il decesso di Falcone si ebbe alle 19.05 dopo un’ora e sette minuti dall’attentato e alcuni tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Morì tra le braccia di Borsellino, senza però riprendere conoscenza. Francesca Morvillo morirà invece sotto i ferri intorno alle 22.
Redazione
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