venerdì, Aprile 19, 2024

Cinema: “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, l’invettiva poetica contro lo sfruttamento degli esseri umani

di Alessandro Ceccarelli
Il film di Charlie Chaplin uscì in tutto il mondo nel 1936, eppure a distanza di ben 84 anni è un’opera d’arte straordinariamente attuale dal punto di vista umano, politico e civile. Il cineasta britannico girò la pellicola durante gli anni difficili della Grande depressione (partita negli Usa nel 1929 e che pochi anni dopo ‘contagiò’ anche il Vecchio continente) per gridare la propria indignazione contro ogni tipo di struttamento nei confronti degli esseri umani. Otto decenni più tardi, nel XXI secolo il grido di dolore di Chaplin rimane intatto e lucido nella feroce critica al capitalismo. Oggi l’alienazione dell’uomo e la sua oppressione è stata spostata dalle catene di montaggio delle auto alle disumane condizioni negli stabilimenti dei giganti del web.
E’ stato senza dubbio il vero e unico genio del cinema. La sua opera ha avuto una straordinaria portata innovativa e riflessiva. Il suo personaggio di Charlot, così umano, fragile e incredibilmente espressivo in tutte le emozioni è stato l’archetipo dell’individuo che combatte contro le ingiustizie e i soprusi. Charlie Chaplin ha diretto alcuni film che fanno parte del patrimonio mondiale della cultura, come “Il Monello”, “La febbre dell’oro”, “Luci della città”, “Il grande dittatore”, “Luci della ribalta” e “Tempi moderni”, probabilmente la sua pellicola più significativa. In questo vero e proprio capolavoro Chaplin ha profuso tutta la sua umanità, la denuncia sociale contro lo sfruttamento e l’alienazione dell’uomo del ‘900.
“Tempi moderni”, poesia visiva
Per questo film Charlie Chaplin alzò le sue ambizioni sociali, politiche e concettuali affrontando il tema del rapporto tra l’uomo e il lavoro che nei primi decenni del ‘900 aveva conosciuto profonde trasformazioni. In più la terribile crisi economica del 1929 aveva improvvisamente impoverito decine di milioni di americani e ridotto in miseria i contadini del middle west. Con la grande depressione aumentò anche la diffusione delle idee socialiste di giustizia sociale, equità e la rivendicazione dei diritti per le masse operaie che lavoravano nelle fabbriche. Charlie Chaplin per scrivere “Tempi moderni” pensò alla figura leggendaria e controversa di Henry Ford che rivoluzionò e cambiò radicalmente la vita degli americani con la diffusione delle automobili. Le fabbriche diventarono il centro della vita produttiva degli Stati Uniti. La sensibilità e il genio di Charlie Chaplin illustrò con raffinatezza e con il gusto dell’ironia la condizione dell’operaio statunitense nelle fabbriche sempre più automatizzate, sempre più veloci dove l’essere umano trovò non poche difficoltà a livello fisico e psicologico. La produzione imponeva ritmi sempre più disumani che spersonalizzavano e alienavano l’individuo. Il film di Charlie Chaplin cerca in definitiva di raccontare questa radicale trasformazione del mondo del lavoro e le conseguenze che devono sopportare gli operai alle catene di montaggio, meccanismi perfetti, inesorabili che non ammettono soste o errori. “Tempi moderni” è l’ultimo film dove compare la straordinaria e rivoluzionaria figura di Charlot. Nella pellicola lavora in una fabbrica i cui ritmi disumani lo conducono al ricovero in manicomio. Quando esce si trova coinvolto in una manifestazione sindacale e viene arrestato. Dopo aver sventato un’evasione ritorna in libertà e salva una ragazza di strada dall’arresto innamorandosi di lei. La loro vita non sarà facile ma la speranza in un futuro migliore non verrà a mancare.  Apparentemente sembra una storia semplice, ma la portata sociale di questa pellicola è stata enorme. Nessun altro film ha rappresentato la lotta senza fine dell’uomo contro l’oppressione, la disperata battaglia dell’umanità contro il profitto sfrenato che annienta la persona in quanto tale. Solo “Furore” di John Ford, tratto dal celebre romanzo di John Steinbeck, ha avuto un paragonabile impatto emotivo e politico come il capolavoro di Chaplin. Il regista, nonostante l’avvento del sonoro, rimase legato ai tempi e ai ritmi del cinema muto e anche in questo caso si affidò all’audio per l’indimenticabile colonna sonora musicale e per i suoni e i rumori ma evitò il più possibile le parole (e quando ne fa uso le assemblea con effetti surreali). In un’intervista rilasciata al “New York World” nel febbraio 1931 aveva affermato: “I macchinari che consentono di risparmiare manodopera ed altre invenzioni moderne non sono stati fatti per ricavare profitto ma per assistere l’umanità nella ricerca della felicità. La speranza per il futuro dipende da cambiamenti radicali per far fronte a questa situazione. I benestanti non vogliono che la situazione presente cambi. Non è certo questo il modo di impedire che si affermino idee bolsceviche o comuniste”.
Redazione
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