Il legale della Famiglia Vannini, Celestino Gnazi replica agli avvocati Messina e Miroli: “Dissento dall’aver voluto polemizzare direttamente con me, peraltro usando espressioni tortuose ed a tratti assai poco comprensibili, per motivi inesistenti”
di Alberto Sava
Marco Vannini è stato ucciso! Una morte violenta in un contesto di crudeltà e cinismo, forse fino a quel momento sconosciuti persino agli stessi protagonisti di tutta questa maledetta storia. Oggi, il processo attende il secondo pronunciamento della Cassazione che, dati gli esiti del primo pronunciamento e quelli dell’appello bis, metterà fine al calvario processuale ed umano di Marco e della sua famiglia. La sentenza di primo grado creò una forte reazione, accompagnata da un diffuso senso di rigetto per una verità processuale tangibilmente lontana dai fatti, e dalle loro conseguenze. Peggiori e ben più drammatici furono tuttavia gli esiti del primo processo d’appello, le cui lievi risultanze a carico degli imputati furono accolte come un insulto alla memoria di Marco. Impossibile vederle in modo diverso. Senza voler minimamente indugiare in un processo alle intenzioni, si può immaginare, a parte quello intuibile degli imputati, il senso di sollievo del loro collegio difensivo, dinanzi ad una sentenza che forse oltrepassava persino le loro aspettative. Fu la prima sentenza di Cassazione a far detonare il monolite dei Ciontoli in tutte le sue componenti. Una sentenza che non solo sconfessava l’impianto dell’appello, ma che rimetteva sui binari della ragionevole aderenza ai fatti realmente accaduti il treno deragliato dell’intero procedimento. Con una tale forza normativa, ma anche umana, che l’esito del processo d’appello bis, ben più grave per gli imputati, ne è diretta proiezione. Le ultime battute del processo per un fatto tanto grave avrebbero imposto un rispettoso silenzio, soprattutto verso i genitori di Marco, ma gli echi di quella sentenza di Cassazione, devastante per gli imputati, sono scorie difficili da metabolizzare anche per il loro collegio di difesa, ed ecco materializzarsi inessenziali rilievi. Di seguito la replica firmata dall’avvocato Celestino Gnazi agli avvocati difensori dei Ciontoli. “Dispiace essere costretti a replicare ai Colleghi Messina e Miroli. Gli stessi, però, non si sono limitati ad esprimere un legittimo dissenso contro decisioni per nulla auspicate (e posso comprenderli) pur con toni immotivatamente urlati (li comprendo meno) ma hanno voluto polemizzare direttamente con me, peraltro usando espressioni tortuose ed a tratti assai poco comprensibili, per motivi inesistenti: qui non li comprendo affatto e mi viene in mente in modo plastico quella saggia espressione secondo cui “un bel tacer non fu mai scritto”. Ebbene, pur nella convinzione che alle persone intelligenti piace sempre imparare, posso anche capire chi abbia la preponderante tentazione di insegnare, ma non certamente con il ditino alzato con malaccorte e ingiustificate pretese di superiorità. In ogni caso, per quanto mi riguarda, non hanno colto nel segno ed hanno scelto il bersaglio sbagliato. In breve: 1) Io ho reso note le motivazioni pubblicate dalla Corte di Assise di Appello, citandole succintamente, in modo corretto e persino testuale. E’ stupefacente affermare che, con questo, io abbia fatto da “cassa di risonanza delle motivazioni dell’appello”. Può non far piacere, ma io ho semplicemente notato che (finalmente!) si leggeva una ricostruzione dei fatti minuziosamente basata sugli atti processuali (non certamente su “convinzioni preconcette” e “incommensurabili falsità”). 2) cc. Posso tranquillizzarli: pur ignorando il loro percorso di studi (che presumo impeccabile) li informo che i miei si sono conclusi con il massimo dei voti e con lode e che, soprattutto, il concetto di umanità del diritto e di umanità di giustizia è piuttosto ovvio, come è ineliminabile il dilemma tra l’esigenza di certezza e quello di giustizia. “Cari Colleghi Messina e Miroli: un bel tacer non fu mai scritto” Molto più prosaicamente, peraltro, con il concetto di giustizia “umana” intendevo proprio rivolgermi a coloro che, invocando pene severissime o ergastoli, pretendono, sbagliando, di sostituire il diritto con la morale o con l’etica. Non era difficile comprenderlo. Come non è difficile comprendere che quello che noi abbiamo sempre chiesto è l’applicazione – nulla di più – delle norme di diritto 3) Mi riesce difficile, inoltre, seguire i Colleghi sul discorso della coerenza e delle rispettive posizioni: a me è sufficiente ricordare che quanto sempre affermato, sin dal giorno successivo al tragico evento, è stato finalmente confermato, con sentenze impeccabili, sia dalla Corte di Cassazione che dalla Corte di Assise di Appello. Si parla, naturalmente, del cuore del discorso, non possiamo certo affermare di condividere tutto. 4) A quest’ultimo proposito, posso dire di non aver mai condiviso la scelta di incolpare Viola Giorgini di omissione di soccorso: a mio avviso la sua posizione non doveva essere differenziata da quella dei familiari di Antonio Ciontoli. Ma il dato processuale di cui tener conto è che la Giorgini è stata assolta da quella imputazione. Ciò, tuttavia, non può significare, come sembrano pretendere i Colleghi Messina e Miroli, che fosse coperta da una sorta di immunità quando è stata sentita (su richiesta della difesa) come teste, con l’impegno di dire la verità e di non nascondere nulla di quanto sapeva. Ebbene, sembra incredibile, ma i Colleghi Messina e Miroli accusano chi (cioè il sottoscritto, come sembra di capire nella lettura di una prosa non proprio incline alla chiarezza) di indulgere a “derive ed ambizioni giustizialistiche” (?) per aver rammentato che i testi, se dicono il falso, se ne devono assumerne la responsabilità. Peccato che anche questa affermazione sia ovvia e che la Corte abbia espressamente parlato di “assoluta mancanza di credibilità” e di “propensione alla reticenza”: anche a fronte di una così autorevole descrizione, non potremo non rivolgerci alla competente Procura per chiedere di accertare se, nella deposizione resa, la Giorgini sia stata falsa o reticente” conclude l’avvocato Gnazi.