venerdì, Marzo 29, 2024

Effetto Covid, la pandemia ha “infranto” i sogni di cambiamento del 66% delle famiglie italiane

La pandemia ha spazzato via i sogni di cambiamento degli italiani: a marzo 2020, il 66,4% delle famiglie – circa 6,5 milioni – nelle quali almeno uno dei componenti aveva in progetto di cambiare lavoro o attivita’, ha dovuto soprassedere. E se un quarto di esse ha deciso di prendere tempo, il 15% vi ha proprio rinunciato. Quando ci butteremo alle spalle l’incubo della pandemia? La maggior parte degli italiani ritiene che ci vorra’ ben piu’ di un anno. E cosa rimarra’? Di sicuro non un’affezione alla digitalizzazione, nonostante l’uso della Rete e dei pc si sia intensificato, complici anche i lockdown. E’ quanto si evince dall’ultimo rapporto AGI-Censis che fa il punto sulle modifiche che, a partire dal marzo del 2020, hanno caratterizzato i comportamenti degli italiani. La rilevazione, condotta nel mese di aprile 2021, restituisce inoltre i dati sull’interesse, il gradimento, le resistenze e le preoccupazioni di fronte alle prospettive di cambiamento innescate dalla pandemia.
LE ASPETTATIVE DELUSE
Ad esempio, il 65,0% delle famiglie ha dovuto rivedere le proprie scelte di investimento immobiliare. Si scende al 54,2% per chi aveva in animo di cambiare la propria residenza ed e’ dovuto tornare sui suoi passi. Il 56,3% di chi stava attivamente cercando un lavoro ha smesso di farlo o ha cambiato la direzione delle sue ricerche. Si tratta, spiega il Rapporto, di tanta “energia compressa” che potra’ essere dispiegata solo con l’uscita dalla pandemia. Entrando nel dettaglio, dal Rapporto si evince che in alcuni casi specifici l’insorgere della pandemia ha generato una progettualita’ nuova, sostanzialmente di tipo adattativo. La rinuncia definitiva ad un progetto precedentemente messo in cantiere coinvolge il 15% delle famiglie, se si considera quelle che hanno rinunciato ad un investimento finanziario che avevano messo in cantiere. Si sale fino al 16,1% per quanto concerne i nuclei che hanno rinunciato all’acquisto di un immobile. Percentuali analoghe riguardano la rinuncia ai trasferimenti di residenza (13,8%), alla ricerca attiva di un’occupazione da parte di almeno un membro della famiglia (13,6%), ad un cambio di attivita’ lavorativa che era stato precedentemente pianificato (16,6%). Percentuali non molto dissimili si rilevano con riguardo invece alle famiglie che tali attivita’ non le hanno definitivamente annullate, ma modificate, rimodulando i loro progetti o quelli individuali dei loro componenti. Particolarmente significativo il cambiamento di obiettivi nell’area “formazione” e dell’area “lavoro”, con percentuali rispettivamente del 27,7% e del 24,6%. Infine, particolarmente interessante l’esistenza di un segmento, sia pure minoritario, di famiglie che hanno sviluppato progetti di cambiamento proprio a causa dell’insorgenza dell’emergenza sanitaria. Il 19%, ad esempio, ha messo in cantiere un trasferimento di residenza, probabilmente dando seguito all’esigenza di disporre di un’abitazione con caratteristiche diverse e piu’ adatte alle nuove condizioni di vita determinate dallo smartworking e dalla didattica a distanza.
RITORNO ALLA NORMALITA’
Il ritorno alla normalita’, ossia ai livelli e agli stili di vita di prima della pandemia, non sembra proprio a portata di mano. Anzi. Per la maggior parte degli italiani ci vorra’ ben piu’ di un anno. E c’e’ anche – tra il 5% e il 15% degli interpellati – chi ritiene addirittura che non si tornera’ piu’ alla situazione precedente. Dal Rapporto emerge che in materia di sanita’, solo il 26,6% dei cittadini sono convinti che entro un anno avremo possibilita’ di accedere a test diagnostici ed interventi chirurgici senza doverli rinviare a causa del Covid. La maggioranza degli intervistati (58,1%) ritiene invece che ci vorra’ molto piu’ tempo. Molti di meno i “pessimisti” riguardo i comportamenti di consumo: “solo” il 36,6% degli italiani e’ convinto che continueremo a lungo ad utilizzare mascherine e distanziamento. A questi si aggiungono pero’ tutti coloro che ritengono che queste precauzioni entreranno a far parte stabilmente della nostra vita (7,1%). Con riferimento alla scuola e all’universita’ i due terzi (67,2%) degli intervistati ritengono che ci vorra’ meno di un anno e sono dunque ottimisti in merito al prossimo anno scolastico e alla possibilita’ di organizzare lezioni in presenza. Il 27,2% ritiene invece che occorrera’ molto piu’ tempo, ipotizzando dunque una situazione ancora complessa per la ripresa dell’anno scolastico 2021-2022. Infine, una quota residuale del 5,5%, ma consistente se rapportata ai valori assoluti dell’universo rappresentato dal campione (2,8 milioni di cittadini maggiorenni) ritiene che non si tornera’ piu’ alla situazione pre-pandemica. Valutazioni nel complesso non dissimili anche se con previsioni leggermente piu’ pessimiste riguardano il tema degli spostamenti sul territorio e l’acquisto di beni e servizi. Secondo il Rapporto, la maggior parte degli italiani e’ convinta che in meno di un anno ci si spostera’ senza nessuna restrizione e verra’ archiviato l’uso delle mascherine e la precauzione del distanziamento interpersonale (56,3%). Molto diverse le opinioni in tema di lavoro. In primo luogo la quota di italiani che ritiene che occorrera’ molto piu’ di un anno per tornare alla normalita’ raggiunge il 41,8% del totale. Bisogna poi considerare quel 17,1% di persone convinte che non si tornera’ piu’ alla situazione precedente (circa 8,5 milioni di persone). Per tutti costoro l’adozione del lavoro a distanza (da remoto, agile, o smartworking che sia) viene evidentemente considerato un processo consolidato dall’esperienza e dunque in qualche modo irreversibile. Complessivamente, i ceti sociali piu’ modesti sono i piu’ pessimisti. In particolare, aumenta di molto la sfiducia diffusa nella possibilita’ che si possa ritornare – prima o poi – alle condizioni pre-pandemiche. I “segni” dell’allarme e del suo riverbero mediatico rimangono evidentemente impressi piu’ a fondo nella percezione di chi ha avuto difficolta’ ad ammortizzare i colpi sul piano economico o non ha avuto a disposizione sufficienti strumenti di analisi ed interpretazione.
“RESISTENZE” ALLA TRANSIZIONE DIGITALE
La pandemia ha alimentato l’uso della rete internet, ma non mancano dubbi e resistenze sulla transizione digitale. L’uso “emergenziale” della rete non sembra cioe’ aver definitivamente “traghettato” nell’opinione pubblica italiana l’importanza di una reale transizione digitale in tutti i settori di offerta pubblica. Sinteticamente, al voto elettronico, il 32,3% dei cittadini e’ solo parzialmente d’accordo e il 34,2% non ne vuole sentire parlare. Solo il 41% degli italiani sarebbe felice di vedere apposti sensori digitali in citta’ al fine di aumentare la sicurezza urbana. Il 37,3% li accoglierebbe tiepidamente e con riserve mentre il 21,1% e’ decisamente contrario. Maggiori aperture si registrano verso una sanita’ che utilizza a pieno le nuove tecnologie (fascicolo sanitario elettronico, telemedicina, ricette online, teleconsulti, ecc.): solo il 14,5% degli intervisti dichiara di non gradirla affatto. Anche le previsioni sul futuro incorporano molte le “posizioni “conservative”. Con buona pace delle tematiche ambientali, il 41,3% degli intervistati sono convinti che l’editoria online soppiantera’ affatto la carta stampata e il 43,8% pensano che continueremo a muoverci in auto per fare la spesa settimanale piuttosto che ricorrere a sistemi di acquisto online con trasporto della merce a domicilio. Un discorso a parte merita il lavoro da remoto: in questo caso sono una stretta minoranza (18,1%) gli italiani che non si mostrano critici verso le aziende o le organizzazioni che non intendono adottare lo smartworking nei loro schemi operativi. In modo particolare questo vale per la popolazione piu’ istruita, dove la percentuale dei contrari scende al 14,6%. Scendendo invece nel dettaglio, la resistenza maggiore si riscontra con riferimento ai servizi della PA, dove il 35% degli italiani dichiara di non vedere di buon occhio una transizione completa e definitiva verso l’allestimento di “sportelli online” in sostituzione di quelli tradizionali ad accesso fisico e con operatori in “carne e ossa”. Percentuali simili si registrano con riferimento alla diffidenza verso il voto digitale: il 34,2% dei cittadini e’ totalmente contrario alla sua introduzione, il 32,3% si dice “parzialmente d’accordo” e il 33,5% accoglierebbe con favore questa soluzione. Le perplessita’ di quote cosi’ elevate di cittadini, considerando che la domanda e’ stata posta in un momento molto particolare della vita del Paese, in un contesto dove i rischi di contagio di una consultazione elettorale si sono sommati alle tradizionali perplessita’ riguardo i costi delle elezioni e le chiusure temporanee delle scuole per consentirne l’espletamento, destano qualche stupore. Sembra difficile che queste resistenze si possano attribuire agli eventuali rischi per il mantenimento dei diritti costituzionali (segretezza e liberta’ del voto). Piu’ probabile che – come nel caso precedente – la gran parte dei dinieghi sia riconducibile alla prospettiva del trasferimento in rete di abitudini consolidate, nel caso del voto un vero e proprio rito collettivo. Anche l’offerta culturale e di intrattenimento, secondo il 26,2% degli italiani, non necessita di essere resa maggiormente disponibile in rete. Addirittura il tema della sicurezza urbana, sicuramente migliorabile attraverso sistemi di monitoraggio basati sulle nuove tecnologie (si pensi al controllo del traffico, dei comportamenti scorretti alla guida o in altri ambiti comportamentali) non convince piu’ di un quinto degli italiani. I due settori di intervento dove le resistenze sono minori sono i due “pilastri” del welfare nazionale: la scuola e la sanita’. In questi casi i “resistenti” si riducono infatti al 16,6% e al 14,5% rispettivamente. In conclusione, si puo’ sostenere che la domanda di cambiamento nei servizi di interesse collettivo non e’ cosi’ ampia e univocamente orientata come si potrebbe pensare. Ai veri e propri “resistenti” si aggiungono infatti le quote decisamente considerevoli di quelle persone che si dicono “d’accordo ma solo in parte” con le proposte di digitalizzazione sottoposte alla loro attenzione, oscillanti tra il 30% e il 40% del totale. E’ certamente noto a tutti che la digitalizzazione dei processi e’ il vero driver del cambiamento, ma forse e’ proprio per questo che ci sono delle resistenze. In parte cio’ si lega alla debolezza delle competenze digitali di quote importanti di cittadini. Ci sono sicuramente delle resistenze per cio’ che concerne i dati, la privacy, la tracciabilita’ dei comportamenti, ecc. Ma e’ anche probabile che il rapporto con i servizi pubblici nel nostro Paese non si sia ancora strutturato intorno ad un “circuito virtuoso di dare-avere”, dove ogni soggetto coinvolto deve fare la propria parte. Ma non sono solo i servizi pubblici ad incontrare delle resistenze nel loro percorso di digitalizzazione. La gran parte degli italiani, ad esempio, non crede che l’editoria tradizionale verra’ soppiantata dai media digitali. Alla stessa stregua, la maggior parte degli intervistati non concorda che sia poco razionale muoversi ogni week-end con un’auto per fare la spesa settimanale in un supermercato, visto che esiste la possibilita’ di rifornirsi di prodotti davanti ad un pc con pochi click su una tastiera o attraverso l’uso di uno smartphone. Qualsiasi buona ragione basata sulla sensibilita’ ambientale, o semplicemente sulla comodita’ o la razionalizzazione del tempo a disposizione si scontra con abitudini consolidate che solo una minoranza sembra ben contenta di modificare grazie alle tecnologie digitali. Molto diverse opinioni in tema di smartworking. In questo caso la maggioranza degli italiani sono pronti a criticare le aziende o le organizzazioni che non si dimostrano pronte nel progettarlo e nell’adottarlo nei loro schemi operativi. In modo particolare questo vale per la popolazione piu’ istruita. Solo il 14,6% dei laureati, ad esempio, non se la sente di tacciare di obsolescenza e incapacita’ di cogliere le nuove opportunita’ per le organizzazioni che non decidono di adottarlo.
Redazione
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