mercoledì, Aprile 24, 2024

“Ho fatto la cam girl”, faccia a faccia con Grazia Scanavini autrice del ‘libro choc’ sulla prostituzione digitale

di Alessandro Ceccarelli
Uno dei tanti effetti della pandemia del Covid è stata quella di isolare le persone e ‘congelare’ la socialità degli esseri umani. Soprattutto nel primo lockdown (marzo-maggio 2020) gli italiani hanno provato per la prima volta sulla propria pelle un profondo senso di chiusura, isolamento e severa interdizione alla socialità. Di conseguenza anche le relazioni umane e sessuali hanno subito un forte cambiamento. Il mondo della prostituzione e del sesso a pagamento non è stato ovviamente esente da questo fenomeno da cui non siamo ancora del tutto usciti. E le conseguenze psicologiche, relazionali e sentimentali probabilmente muteranno nell’immediato futuro le abitudini che sembravano ‘normali’ prima dell’avvento del coronavirus.  La scrittrice ed educatrice Grazia Scanavini (autrice de “La ragione dei sensi” e “Non chiamatele puttane”) da diversi anni si occupa delle relazioni interpersonali e sessuali. L’astensione dal giudizio è il caposaldo del suo lavoro, che non ha come obiettivo il giudizio, bensì la comprensione oggettiva delle dinamiche di relazione. Usa la scrittura per divulgare il prodotto delle ricerche e stimolare riflessione costruttiva. Ciò che scrive, che si tratti di narrativa, reportage d’inchiesta, testi teatrali o cinematografici, ha l’obiettivo di incentivare una narrazione alternativa rispetto ai pregiudizi, in funzione di una crescita di consapevolezza individuale e sociale. Il suo ultimo libro è “Ho fatto la Cam Girl” (Edizioni Effetto) è illuminante proprio per comprendere le dimensioni di un fenomeno di cui si parla poco: la prostituzione on line.
È un fenomeno diffuso ormai da anni, quando e perché ti è venuta l’idea di scrivere un libro sulla prostituzione online?
L’idea di indagare quel fenomeno mi venne nel 2014, dopo aver assistito allo spettacolo PornoMondo di Dario Aggioli. Un documentario teatrale durante il quale misero in scena una trasmissione in diretta: una delle attrici si collegò a un sito, recitando la parte della Cam Girl, e il pubblico assistette in diretta all’approccio di un utente.  Mi incuriosì subito. Mi occupavo di dinamiche di relazione negli ambiti sessuali già da qualche anno e mi venne spontaneo chiedermi se davvero quegli utenti cercassero solo eccitazione sessuale… Per quella, non era sufficiente un contenuto pornografico gratuito qualsiasi?  Per un po’ di tempo mi limitai a osservare le trasmissioni e a intervistare alcune cam girl. Mi era chiaro che c’era una fetta di popolazione che alla sera, anziché guardare un film alla tv, entrava in quel sito e trascorreva il tempo a interagire con altre persone. Sessualmente, sì, ma non solo. O lo faceva durante l’orario di lavoro, o nelle ore di calma pomeridiana. Ma il punto che mi incuriosiva era che non lo facesse solo per sesso. Io stessa mi ero appassionata a una performer che usava quella cam per mettere in scena una specie di dramma teatrale quotidiano: a volte si presentava vestita da dama dell’Ottocento e recitava poesie, a volte sembrava volersi suicidare da un momento all’altro sull’onda di una delusione amorosa… e gli utenti stavano lì a consolarla, a cercare di dissuaderla, a darle una speranza. Era capace di cambiare stato emotivo come cambiava gli abiti, e io rimanevo incantata dalla sua capacità di attrarre l’attenzione delle persone con una sensualità che andava ben oltre l’aspetto sessuale. Per una come me, appassionata di comportamenti difformi dalla media, fu uno stimolo enorme a mettermi in gioco in prima persona per andare a capire chi fossero quelle persone… Avevo capito che non era necessario stare sempre nuda e in continue peripezie sessuali, per attrarre quel pubblico. Non era quello, che cercavano gli utenti. Definii quindi un progetto, partendo dall’ipotesi che l’utilizzo di quei siti non fosse una questione legata esclusivamente alla sfera sessuale. Per diversi mesi, trascorsi le giornate affrontando due ore di trasmissione in cam e le sei successive a interagire via chat con gli utenti, per capire chi fossero le persone al di là dei nickname, cosa cercassero in quel servizio.  L’indagine è nata con l’intento di scrivere un reportage, che è poi rimasto nel cassetto per alcuni anni perché la realtà delle dinamiche che si instaurano in quel contesto sono talmente diverse dallo stereotipo che il pregiudizio dipinge che non ero sicura di essere riuscita a rendere chiare né le motivazioni, né le dinamiche stesse. Il divario tra la realtà e il pregiudizio era così ampio e complesso che non trovavo una chiave di espressione che mi risultasse davvero efficace. Ho però iniziato a scrivere qualche post sul mio sito e sulle mie pagine social, per testare le reazioni dei lettori, per capire quali fossero i passaggi più ostici per chi non sapeva nulla di quel mondo sommerso. Perché, fino a qualche anno fa, quello era davvero un fenomeno poco conosciuto: allora, la cam girl era identificata con quelle che comparivano nei pop up che si aprivano quando accedevi a un sito porno, quindi bellissime e giovani ragazze seminude che si alternavano in queste finestrelle, e tu potevi pagare per assistere a uno spettacolo privato. Un sistema organizzato, insomma… ragazze ingaggiate da qualcuno e proposte lì. Il sito al quale mi ero approcciata io, Cam4, lo stesso usato in quello spettacolo teatrale, proponeva invece performer di tutt’altro genere: persone normali. Donne, ma anche uomini, coppie e gruppi di persone che, da casa loro, facevano queste trasmissioni in autonomia.  I post sui social ebbero un effetto che non mi aspettavo: poche critiche, molto interesse a capire. Diverse perplessità, sì, ma interesse a capire! Poi, durante la fase più intensa di lockdown, hanno iniziato ad arrivare richieste di consigli da parte di donne rimaste senza lavoro: nel bisogno economico, avevano deciso di provare a fare cam a pagamento.  Dopo un primo momento di conflitto con me stessa, perché temevo di passare come istigatrice alla prostituzione online, ho scelto di riscrivere completamente il libro sotto forma di saggio, in modo da poter fornire un punto di vista consapevole, rispetto alle dinamiche che si affrontano quando ci si immette in quell’àmbito. I rischi e le possibilità, nel modo più oggettivo possibile.  La chiave per scrivere questo libro, insomma, mi è arrivata proprio dall’interazione con chi mi segue sui social. Ho optato per un saggio, anziché un reportage, perché ho voluto integrare con un’analisi che sia utile non solo a consapevolizzare chi intende avvicinarsi a quel mondo, ma anche a chi non ci pensa proprio… però è interessato a capire perché il partner accede a quei siti, o perché il denaro è un veicolo di appagamento nelle relazioni, o come evolve l’autostima, o quanto il Capitale Erotico sia uno strumento utile a chiunque, nella vita di tutti i giorni. 
Pensi che la pandemia Covid abbia ulteriormente diffuso questa pratica del sesso on line?
Il sexting, in generale, è diventato sicuramente una pratica più diffusa. La lontananza e la solitudine, le tante ore a disposizione, l’avvicinamento ai mezzi tecnologici anche di chi prima non era avvezzo… sono tante le variabili che hanno fomentato il sesso virtuale. Quello a pagamento è aumentato nel senso che migliaia di persone in più hanno aperto account: per arrotondare stipendi diminuiti, quando non estinti. E hanno scoperto un mondo che non si aspettavano. Un po’ come me.  Il pregiudizio ci aveva detto che quei siti sono frequentati da persone perverse, “sporche”… maniaci! In realtà, lì si trovano esattamente le stesse persone che si incontrano al centro commerciale, in strada, al bar, dal dottore, in ufficio… a casa. Che hanno anche le loro perversioni, sì, ma né più né meno che nella vita extra-virtuale. 
Cosa scatta nella psicologia di una ragazza che vuole fare la “cam girl”? È una questione meramente economica o la voglia di trasgredire senza il contatto fisico?
Anche la variabile trasgressione influisce, sì. Solitamente la donna si avvicina a quel mondo per un bisogno economico. Ma poi può succedere che si scopra divertita dal gioco erotico e appagata dall’attenzione degli utenti. Di conseguenza, l’autostima si nutre. Anche perché, in quegli àmbiti, non sono apprezzate solo le donne che rappresentano lo stereotipo della bellezza… anzi. È più facile che a ottenere più consenso, e quindi a fare più soldi, sia una donna che in cam si approccia con gentilezza, socievolezza, ironia, leggerezza.  Indubbiamente, siti come Cam4 concedono di conoscere persone e vivere storie, più o meno sessuali, senza mettersi in gioco del tutto. Consentono l’appagamento dell’immaginario, sollazzano il divertimento mentale che una situazione erotica può dare, stimolano la fantasia.  Molte persone usano quei siti per appagare il desiderio di quella giocosità che magari, dopo anni di matrimonio, non vivono più con il/la partner, ma non vogliono tradire.  Questo è un discorso che tanti faticano ad accettare ed è anche il motivo per cui chi frequenta quei siti lo fa di nascosto dai partner, che lo riterrebbero comunque un tradimento. Ma qui andremmo a mettere il dito nella piaga della complessità dei conflitti dovuti a millenni di condizionamenti socioculturali… meglio fermarsi.
Quali sono le insidie e i pericoli di una ragazza che vende il proprio corpo in maniera digitale?
Insidie, se l’esperienza è affrontata con consapevolezza, non ce ne sono. Bisogna usare accorgimenti affinché nessuno possa risalire alla vera identità, questo sì. Bisogna sapere che le trasmissioni vengono registrate, non direttamente dal sito in cui si crea l’account ma da sistemi esterni automatici, che poi mettono a vendere le registrazioni come fossero video pornografici. E quei contenuti resteranno in rete per sempre. È quindi sconsigliabile trasmettere mostrando il viso perché potrebbe succedere di essere riconosciute, da chiunque. Poi ci sono accorgimenti che si imparano con l’esperienza. Farsi sempre pagare prima, per esempio, se lo si fa per un discorso economico… perché succede spesso che gli utenti si innamorino proprio e inizino a cercare di non pagare cercando uno spazio privilegiato, che provi loro di essere preferiti ad altri. E qui si capisce quanto entri in gioco tutta l’essenza umana, no? C’è spesso la ricerca di una relazione vera e propria, da parte degli utenti… ma se si comincia a concedere, si instaura un meccanismo difficile da gestire. Quella persona vorrà poi attenzione sempre, forse proverà pure a far sì che gli altri utenti si allontanino. Ho visto ingaggiare veri e propri duelli virtuali per accaparrarsi la benevolenza della performer.  Altra cosa molto importante è non cedere a confessioni sull’identità personale solo perché quella ci sembra una brava persona: non la conosciamo, non abbiamo strumenti sufficienti per fidarci e affidarci a sconosciuti.  La cautela e la tutela vanno sempre anteposte a tutto. Ho voluto scrivere questo saggio perché la scelta di approcciarsi a questo mercato è una libera scelta, ma deve essere fatta con consapevolezza. Iniziare questa attività pensando che sia sufficiente il buon senso, o alcune indicazioni come quelle accennate qui, è un grave errore che commettono in tanti. E le conseguenze possono essere davvero devastanti.  Per questo ho scelto di affidare il saggio a Flavio Passi, titolare di Effetto Edizioni: informare e abbattere i pregiudizi è l’obiettivo della Collana Entourage.
Fingendoti una cam girl quale è stata la tua esperienza a livello umano e psicologico?
Questa è una bellissima domanda. Finché ho finto di essere una cam girl, finché non ho preso dimestichezza con l’ambiente, ho faticato tantissimo. Al punto che avevo anche pensato di sospendere la ricerca. Mi feriva chi entrava nella mia room e mi offendeva, per esempio. Poi ho capito che il problema ero io… Ero talmente concentrata a recitare il ruolo di cam girl, che mi ero dimenticata chi fossi.  Così ho deciso di crearmi un personaggio simile a me. Io, per lavoro, mi occupo anche di sceneggiature e poi studio le caratteristiche di personalità da trent’anni… quindi mi sono costruita un alter ego che fosse me, con un nome diverso. Potremmo definirlo un teatro dell’improvvisazione. Quando accendevo la cam, entravo in scena a recitare me stessa.  Questo mi ha dato tanto, perché guardandomi in quel riquadro – mentre trasmettevo – ho imparato a conoscermi e a guardarmi anche attraverso lo sguardo altrui. Ho conosciuto le mie espressioni facciali, ho imparato a modulare la voce e, in sostanza, a manipolare chi mi stava guardando. Lo dico in senso buono, ovviamente. Come in ogni spettacolo: se vuoi far emozionare il pubblico, devi dare determinate cose di te, devi mettere in atto certi comportamenti, devi usare determinate espressioni sia mimiche, sia verbali. Io ho imparato a farlo proprio lì. Ho studiato il mio Capitale Erotico, ciò di cui parla la sociologa Catherine Hakim. A livello umano, a parte il sano divertimento del gioco erotico ma non solo, ho conosciuto persone davvero straordinarie. Ovviamente, non sto affermando che in quei contesti ci siano solo persone interessanti, educate e accrescitive… sto dicendo che io mi ero creata quel tipo di pubblico, allontanando le persone che non gradivo, che destabilizzavano il clima positivo che volevo che si respirasse nella mia room… un po’ come faccio sulle mie pagine social. In cam ho imparato la determinazione necessaria per allontanare una persona sgradita, e questo mi è tornato molto utile anche nella vita. Prima ero piuttosto assoggettata al bisogno di piacere a tutti. Poi, imparando a controllare la room con fermezza, facendomi forza con ironia e autoironia, sono evoluta anche nel mio modo di essere.  In qualche modo, devo a quell’esperienza la maturazione della mia ironia, ma soprattutto quella dell’autoironia. Per esempio: io ho un corpo tutt’altro che perfetto. Il fondoschiena soprattutto… è sempre stato un brutto fondoschiena anche quando ero giovane. In cam, ho iniziato a giocare su questa mia particolarità: non lo nascondevo, lo enfatizzavo! Durante le trasmissioni mettevo un prezzo altissimo per mostrarlo e dicevo proprio che – era talmente brutto che – non volevo farlo vedere. Il mio fondoschiena era diventato la barzelletta della room e gli utenti facevano collette assurde, pur di costringermi – giocosamente, sia chiaro – a mostrarlo.  Potrei stare ore a snocciolare input positivi assimilati in quell’esperienza, ma vorrei anche che fosse chiaro che questa è la mia esperienza. Legata al mio modo di essere. Come in ogni situazione di vita, anche lì la differenza è fatta dalla persona. 
In base all’esperienza che hai descritto nel tuo libro quali sono i desideri più richiesti da parte dell’universo maschile? Ed infine che idea ti sei fatta dei ragazzi che assiduamente pagano per questi “spettacoli”?
Non saprei fare una classifica dei desideri. La particolarità del mondo delle cam sta proprio nel fatto che l’offerta è molto ampia e variegata, quindi la richiesta trova sempre soddisfacimento. Di sicuro, le situazioni particolari sono le più seguite.  Parlo per esempio di contesti esterni: in auto, al supermercato, in treno… laddove può succedere che la performer sia vista o scoperta da qualcuno, insomma. L’immaginario erotico è stimolato perché si pensa che la situazione possa evolvere verso l’imprevisto approccio sessuale di qualcuno, per esempio. Ma anche la complicità con la cam girl che sta correndo il rischio di essere scoperta, eccita e attrae. Nel libro ho raccontato alcune situazioni che io avevo creato, con la complicità di mio marito o delle amiche. Di nuovo, insomma, il teatro dell’improvvisazione.  Che idea mi sono fatta dei ragazzi? Bè, prima di tutto è necessario specificare che in media, a pagare, sono soprattutto le persone adulte. Professionisti, in primis, perché hanno disponibilità economica e lavorano in un contesto che consente loro di seguire le trasmissioni (uffici) praticamente indisturbati. Ci sono anche moltissimi giovani (purtroppo anche giovanissimi performer e questo è un tasto dolente, perché non hanno il minimo di consapevolezza) ma difficilmente sono loro, a pagare. Assistono alle trasmissioni e interagiscono comunque, come può fare chiunque, ma difficilmente contribuiscono economicamente. Detto questo, non mi sono fatta nessuna idea se non quella che chi ha disponibilità economica la cede volentieri per interagire con una persona che gli piace… tutto qui. E quando dico “gli piace”, non intendo in termini strettamente di bellezza o aspetto fisico, ma nel suo modo di porsi, di mettersi a disposizione per un gioco erotico o anche solamente ironico. A me è successo di essere pagata per andare in trasmissione privata (si può fare anche questo) e poi non ci fosse una richiesta sessuale ma semplicemente uno scambio di chiacchiere, di confidenze o cose così.  Si instaurano rapporti molto particolari perché nascosti dietro a un nickname e con persone che non fanno parte del proprio quotidiano è anche più facile affrontare certe tematiche. O certe problematiche. O essere ciò che nella vita reale non si può essere.  Del resto… cos’è un nickname, se non la possibilità di non subire un giudizio?
Redazione
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