sabato, Maggio 4, 2024

Giglio, dieci anni fa la tragedia della Costa Concordia e delle 32 vittime della follia del capitano Schettino

L’orologio segna le 21:45 e cinque secondi del 13 gennaio 2012 quando il comandante Francesco Schettino urla “hard to port”, “tutta la barra a sinistra”. L’ordine arriva però troppo tardi: due interminabili secondi dopo, la Costa Concordia urta il gruppo di scogli noto come Le Scole, nei pressi dell’Isola del Giglio, causando uno dei più gravi naufragi della storia italiana. A dieci anni da quel tragico giorno, continuiamo a ricordare le 32 vittime. Tra loro anche una bambina di cinque anni, Dayana. All’alba del 14 gennaio 2012 i primi reporter e i soccorritori offrono al mondo intero l’immagine simbolo della tragedia della Concordia: la nave riversa su se stessa in acqua, inerme come una balena morente. Un fotogramma indelebile ancora oggi, impresso a fuoco in quell’angolo di Tirreno che nella notte aveva visto il salvataggio di 3.190 passeggeri e 1.007 membri. Il “nostro Titanic” lo ha definito qualcuno. E non completamente a torto, visto che il naufragio ha interessato la nave passeggeri di maggior tonnellaggio nella storia. Salpata dal porto di Civitavecchia alle 18 e 57 del 13 gennaio 2012 con 4.229 persone a bordo, la crociera “Profumo d’agrumi” era diretta a Savona. Alle 21 e 04 la Concordia lascia la rotta usuale per effettuare una manovra di passaggio ravvicinato (nota come “inchino”) sotto l’Isola del Giglio: una prassi ormai consolidata e prevista prima della partenza. La nave entra però presto in rotta di collisione con gli scogli. I successivi ordini del primo ufficiale di coperta Ciro Ambrosio e poi di Schettino rispondono alla necessità di passare davanti all’abitato di Giglio Porto tenendosi più sottocosta possibile ed emettere dei fischi di saluto. Accortosi di essere fuori rotta e troppo vicino all’isola per un errore di calcolo, il comandante concentra una serie di ordini negli interminabili secondi che compongono le 21 e44. “Hard to starboard” (“tutta la barra a dritta”), poi barra al centro, ma il timoniere Rusli Bin capisce male e accosta invece a dritta. L'”hard to port” seguente si rivela inutile. Allo scoccare delle 21:45 la nave urta le rocce, riportando l’apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato di sinistra della carena. L’acqua si riversa a frotte nella falla e mette fuori uso i motori e i generatori a gasolio, causando un blackout. Si allagano velocemente i compartimenti 4, 5, 6 e 7 e più lentamente l’8. In poco tempo anche il generatore diesel e il quadro elettrico principale vanno in tilt, impedendo anche il funzionamento degli ascensori e rendendo ingovernabile la nave. Il ponte zero si riempie d’acqua, mentre i passeggeri in preda al panico si radunano ai punti di riunione (muster station). Riuscita a mettersi in contatto con la Concordia, la Capitaneria di porto di Livorno chiede lo stato della nave. Schettino sminuisce la situazione, ammettendo di avere difficoltà ma dicendo di poterla arginare in breve tempo, senza menzionare la falla e l’allagamento. Questi ultimi vengono comunicati verso le 22 e 25, assieme alla richiesta d’intervento di rimorchiatori e sostenendo però che tutti i passeggeri avevano già indossato i giubbotti salvagente. In realtà non era ancora stata dichiarata l’emergenza e, dunque, non erano state fornite istruzioni in tale senso, né tantomeno era stato effettuato alcun controllo. Le pompe sono bloccate, la situazione diventa insostenibile: i passeggeri salgono sulle lance di salvataggio di propria iniziativa, alcuni aggrediscono i membri dell’equipaggio che tentano di impedirlo. Alle 22 e 31 Schettino ordina l’evacuazione del personale che si trova nelle aree allagate e due minuti dopo viene lanciato il segnale composto sette fischi brevi e uno lungo che indica l’emergenza generale. Seguono minuti terribili. Alle 22 e 54, dietro esplicita richiesta della Capitaneria di Livorno, viene ordinato l’abbandono della nave. Dalle registrazioni telefoniche, però, sarebbe emerso che Schettino aveva già lasciato la nave prima che tutti i passeggeri fossero tratti in salvo. Alle 0 e 32 il comandante riferisce alla Sala operativa di Livorno della presenza in mare, a dritta, di naufraghi da recuperare e, due minuti dopo, dice alla Capitaneria di trovarsi su una lancia di dritta sulla quale era dovuto salire a causa dell’accentuato sbandamento della nave. Il tutto dichiarando di credere che “tutti fossero già in salvo”. Qualche giorno dopo il naufragio tutta Italia ascolta le registrazioni di alcune telefonate in cui il capitano de Falco intima a Schettino di risalire sul relitto ormai coricato sul fianco. Il comandante risponde, mentendo, di stare coordinando le operazioni da una lancia di salvataggio, essendo ormai il relitto impraticabile. Alle 0 e 42 la Costa Concordia è ormai abbattuta sul lato di dritta, interamente sommerso, con uno sbandamento prossimo ai 90°. Poco prima, alle 22 e 47, le lance di dritta sono state “sbracciate” già cariche di passeggeri, accentuando lo sbandamento sulla dritta della nave. Dieci minuti più tardi, mentre da Giglio Porto usciva il traghetto Aegilium per dare assistenza, sono state calate le prime lance e zattere. Il capitano di fregata Gregorio de Falco ordina il dirottamento sul posto di tutte le navi presenti in zona per aiutare il trasferimento dei superstiti. A mezzanotte e 18 i passeggeri e l’equipaggio presenti a dritta cominciano a gettarsi in mare: tra loro i comandanti in seconda Bosio e Christidis, il primo ufficiale Ambrosio e il terzo ufficiale Coronica. Parte dei naufraghi gettatisi in mare raggiunge a nuoto la vicina riva, mentre chi resta a bordo si abbandona al terrore più nero.
Redazione
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