Un altro booster dopo la terza dose di vaccino covid? Più no che sì, a giudicare dai pareri espressi dagli esperti. Gli attuali vaccini mRna garantiscono un’elevata protezione contro la variante Omicron dopo la terza dose. I cicli ordinari di vaccinazione hanno mostrato un progressivo calo dell’efficacia dei vaccini. Sullo sfondo, ci sono 500mila quarte dosi già somministrate in Israele. “Non si può imporre a 50 milioni di persone di fare la quarta o la quinta vaccinazione, deve esserci una strategia. Non c’è un sistema sanitario in grado di sostenere poi lo sforzo di vaccinare 50 milioni di persone ogni 4 mesi”, dice il professor Andrea Crisanti a Agorà. “Questi vaccini -spiega- sono stati un contributo fenomenale per bloccare l’epidemia e consentirci di condurre una vita normale. I limiti mostrati da questi vaccini sottolineano l’urgenza di cambiare strategia a medio termine: bisogna investire e sviluppare vaccini che abbiano una durata maggiore, costino meno e abbiano una proprietà intellettuale che appartenga agli stati. Non possono esserci differenze tra i paesi come quelle attuali, che sono inaccettabili”. “Posso pensare che la somministrazione di una eventuale quarta dose di vaccino anti-Covid potrebbe essere utile alle persone con fragilità importanti che, in maniera documentata, non hanno risposto alla terza dose. Andrebbe valutata la risposta di categorie fragili alla vaccinazione”, dice Massimo Galli, già direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano. “I Paesi che avviano la somministrazione di una quarta dose ci daranno dati prima degli altri. Vediamo cosa succederà e da queste informazioni si potranno trarre suggerimenti. Ma una strategia come questa, su due piedi, senza avere altri dati”, secondo l’esperto “non ha senso”. “Secondo me in questo momento, soprattutto da noi in Europa, non c’è necessità di pensare alla quarta dose” di vaccino anti-Covid. “C’è necessità di completare la terza dose e di vedere cosa accade. Andiamo verso una stagione primaverile e dobbiamo vedere come sarà da un punto di vista epidemiologico”, afferma all’Adnkronos Salute è Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “Affrontiamo la primavera con la terza dose, perché quello sì è importante – sottolinea – Dopodiché, a me sembra un po’ prematuro decidere adesso di fare una quarta dose con lo stesso vaccino utilizzato finora”, osserva. “Perché il prossimo inverno molto probabilmente lo dovremo affrontare con un vaccino diverso, con un vaccino che sia costruito sulla variante che circolerà. Se sarà Omicron, un vaccino per Omicron. O altrimenti contro la variante che sarà. Ormai dobbiamo arrivare a una logica stile influenza, per la vaccinazione”, conclude l’esperto. Contro i virus stagionali, infatti, i vaccini vengono tarati di stagione in stagione sui ceppi virali in circolazione. “La quarta dose che stanno proponendo è ancora sul ceppo del virus originario di Wuhan, ma quella proteina non esiste più da un anno e mezzo”, osserva Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. “E’ vero che grazie al cielo i dati ci dicono – sottolinea Ciccozzi – che con tre dosi quel vaccino funziona ancora, ma io sono contrario a fare un vaccino ogni 4 mesi perché – afferma l’esperto – si stressa il sistema immunitario, anche l’immunologo di base lo sa. Perché devo fare questo? A meno che tu non mi proponi un vaccino aggiornato sulle varianti Omicron e Delta”. La quarta dose “ora non serve” per Mauro Pistello, direttore dell’Unità operativa di virologia dell’Azienda ospedaliera universitaria Pisana. Secondo l’esperto ci sono diversi motivi per frenare su un nuovo booster: “Ancora si sta vaccinando con la terza dose o si recuperano le prime – spiega – Inoltre come già detto dall’Ema, occorre vigilare sugli effetti di una stimolazione del sistema immunitario così ravvicinata, e poi a marzo avremmo dei vaccini adattati alle varianti”. “Magari – suggerisce – si può pensare di monitorare il territorio e capire se tra chi viene ricoverato sono in aumento i pazienti immunodepressi o chi è vaccinato. A quel punto si potrebbe pensare a un nuovo richiamo per metterli in sicurezza. Ma aspettiamo”.