sabato, Aprile 27, 2024

La razzia del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943: il racconto dei ragazzi dell’Istituto “Corrado Melone”

In occasione della ricorrenza del “Giorno della Memoria 2022” gli allievi della scuola secondaria di primo grado di Ladispoli, Istituto Comprensivo “Corrado Melone”, hanno voluto raccontare, con l’aiuto del loro insegnante di Arte, attraverso una serie di pannelli in bassorilievo, la razzia del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943. Il lavoro, ora presente nell’Istituto Melone, realizzato dagli allievi del professor Fabrizio Pompili ed intitolato “1022”, è composto da cinque pannelli in cemento armato che raccontano il rastrellamento della mattina del 16 ottobre 1943 a Roma nel Portico d’Ottavia. I pannelli rappresentano cinque fotografie/cartoline trovate in un cumulo di macerie (la Memoria) e recuperate dall’artista e si presentano rovinate, lacerate, consumate come lo è ancora oggi l’animo del popolo ebraico. Nella prima c’è il Portico d’Ottavia, nella seconda il Portico e un camion militare, nella terza si vede un binario e la finestra di un possibile capannone del campo di sterminio, nella quarta la liberazione con il cancello aperto con di fronte un campo arato e una immensa montagna e nel quinto di nuovo il Portico d’Ottavia ma visto specularmente rispetto al primo perché i pochi sopravvissuti ebbero la vita sconvolta dall’esperienza del campo di concentramento mentre sui sanpietrini compare il numero 1022 come una pietra d’inciampo. Il lavoro tende a sottolineare come i luoghi debbano essere considerati i detentori della Memoria come monito per cui nessuno debba essere più privato di tutto e deportato per essere ucciso solo perché considerato diverso. All’evento sono intervenuti lo storico Pino Pelloni e la professoressa Margherita Ascarelli della Fondazione Levi Pelloni che, dopo il saluto di benvenuto del Dirigente scolastico Riccardo Agresti, hanno ricordato quel terribile giorno del 1943 attraverso le pagine di Giacomo De Benedetti ed Elsa Morante. Definito “la prima memoria scritta della shoah italiana”, “16 ottobre 1943” di De Benedetti è la testimonianza letteraria della retata nazista nel Ghetto di Roma. In poche ore di una mattina d’autunno, le SS agli ordini del maggiore Kappler rastrellarono oltre mille ebrei italiani per indirizzarli verso i campi di sterminio. Queste pagine, scritte a pochi mesi dai fatti, rappresentano una delle rare avventure narrative di Giacomo Debenedetti, critico prolifico, studioso di Proust e Joyce e del romanzo novecentesco, editore e saggista. Un racconto che ricostruisce la “banalità del male” di uno dei momenti più neri della storia d’Italia, un testo esemplare tra letteratura e impegno civile che colpì le coscienze del tempo, su tutti Sartre e Sciascia, e che resta ancora oggi di ispirazione, per non dimenticare quello che è stato. Margherita Ascarelli si è soffermata sulla pagina del romanzo “La Storia” che Elsa Morante dedica al rastrellamento del Ghetto di Roma e ha presentato ai ragazzi la famosa “Canzone di Carlotta” sempre della Morante che narra di una studentessa delle medie di Berlino, ragazzina ariana che, di fronte all’ordinanza di portare la stella gialla per tutti i Giudei, risponde con una disubbidienza straordinaria. Da quel giorno uscirà di casa con la stella gialla in petto, come una rosa e presto tutti a Berlino indosseranno la stella gialla. Le autorità non si capacitano di come siano aumentati i giudei a Berlino e di lì in poi avvengono una serie di fenomeni strani tra cui la discesa delle squadre angeliche al completo.
Giorgia Rossi

AGGIORNAMENTO del 1.02.2022 ore 18.51

La C. Melone incontra Sami Modiano

Il 24 gennaio 2022 abbiamo avuto l’opportunità di partecipare in diretta streaming su YouTube ad un’intervista a Sami Modiano. Migliaia di studenti in tutta Italia hanno assistito a questo evento organizzato dalla Fondazione Museo della Shoah, che per renderlo ancora più inclusivo ha messo a disposizione 2 traduttrici LIS. Anche la nostra scuola, la “Corrado Melone” ha potuto partecipare.
Chi è Sami Modiano – Sami Modiano è un uomo di origini ebree. È nato a Rodi, nel Dodecaneso, ora in Grecia. Nel 1923 le isole erano colonie italiane dove furono attuate le leggi antisemite. Nell’isola era presente una comunità di circa 4000 ebrei, molti dei quali furono cacciati o fuggirono per sottrarsi alle leggi razziali. La guerra colpì duramente l’arcipelago dopo l’armistizio del 1943 quando le isole furono occupate dai tedeschi. Gli ebrei rimasti a Rodi – circa 2000 – furono deportati, trasferiti nel campo-prigione di Atene e successivamente ad Auschwitz – Birkenau, dove è sopravvissuto solo l’8% di loro. Sami passa la sua infanzia a Rodi, l’isola delle rose. È fiero della sua famiglia, che ritiene coesa e unita e si sente perfettamente integrato nella comunità ebraica che è come una grande famiglia. A seguito dell’emanazione delle leggi razziali, il suo insegnante lo chiamò e, tristemente, gli comunicò che era stato espulso dalla scuola. Sia prima ad 8 anni che ora a 91, non riesce a capire per quale ragione fosse diverso dagli altri. Dopo l’armistizio tutto cambiò poiché non potevano lavorare e per sfamarsi dovevano vendere i loro oggetti di valore. Il 18 luglio del ’44 fu presa la decisione di deportare gli ebrei. Il viaggio è una parte molto importante della sua storia: ricevono l’ordine di prendere un fagotto contenente gli oggetti di valore e vengono trasportati in dei battelli da bestiame. Uomini, donne, anziani e bambini venivano trattati come animali, avevano a disposizione solo 5 secchi d’acqua per più di 500 persone. Partirono senza neanche sapere dove stessero andando. Dopo una settimana, arrivarono al Pireo dove una squadra tedesca mostrò subito la propria ferocia, aggredendoli e colpendoli con i manganelli. Li caricarono su camion diretti in una caserma di transito e successivamente su treni, obbligandoli a stare tra le 60 e le 80 persone in un solo vagone, nei quali erano presenti solo 4 finestrini. La cosa che colpì molto Sami fu un gesto di compassione di alcuni abitanti delle stazioni dove si fermavano che, durante le fermate, lanciavano della frutta di stagione dentro ai vagoni. Il 16 agosto arrivarono in una stazione con filo spinato e recinzioni: era il campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau, la “rampa della morte”. Ricevettero subito l’ordine di dividersi in uomini e donne, e quasi tutti, tra cui il padre e la sorella di Sami, si rifiutarono di dividersi dai propri cari, per questo furono picchiati fino ad essere resi inermi. Furono costretti a denudarsi, radersi e indossare dei pigiami a righe. Ad ogni prigioniero venne tatuato sul braccio il proprio “numero identificativo”: Sami e il padre avevano rispettivamente il numero B7456 e B7455. Furono costretti a svolgere lavori faticosi per 12 ore al giorno senza sosta, dalle 6:00 alle 18:00. La vita nel campo di concentramento era durissima e molti presero la decisione di suicidarsi. Alcuni erano obbligati a trasportare i cadaveri dalle camere a gas, dove le persone venivano uccise in maniera atroce, fino al luogo dove poi i cadaveri sarebbero stati bruciati. La notte, dopo aver mangiato un tozzo di pane, andava nella baracca numero 15, dove si trovava il padre. Cercava in tutti modi di incontrare la sorella separata dai fili spinati e quando ci riuscì, lo fece solo per pochi minuti attraverso il filo spinato. Poi, non vedendola più, comprese che la sorella era morta. Quando lo disse al padre, quest’ultimo decise di presentarsi in infermeria, una decisione che equivaleva ad andare incontro alla morte. Distrutto dalla morte del padre e della sorella, suoi unici motivi di vita, si lasciò andare e rimase senza forze, fu quindi inserito nella lista di persone condannate a morire nelle camere a gas, ma per una serie di circostanze fortuite riuscì a salvarsi. Fu in questa occasione che conobbe Piero Terracina – un altro sopravvissuto – con il quale strinse un profondo legame di amicizia proprio perché si trovavano in una situazione analoga e riuscivano a confidarsi e sostenersi l’un l’altro. La preziosa testimonianza di Sami Modiano ci ha permesso di conoscere a fondo l’orrore della persecuzione, della deportazione e dello sterminio di milioni di persone fra cui tanti ebrei che avevamo studiato sui libri. Le sue parole lucide e dettagliate ci hanno accompagnato sul treno in cui ha viaggiato e ci hanno condotto nel campo di Birkenau, facendoci vedere con i suoi occhi la barbarie dei carnefici e la sofferenza delle vittime. La sua commozione, mentre raccontava, ci ha toccati profondamente e sentiamo di aver ricevuto non solo un importante messaggio di pace e speranza, ma di avere anche una grande responsabilità: fare in modo che quello che è accaduto non succeda mai più. “I miei occhi hanno visto cose orrende” ha detto Sami Modiano “e non voglio che i vostri occhi vedano quello che hanno visto i miei”. Noi ringraziamo Sami Modiano perché ci ha aiutati a conoscere la Shoah, a riflettere e a ricordare e noi continueremo a farlo per lui e per tutti gli uomini, le donne e i bambini innocenti che sono stati uccisi dalla follia dell’uomo.
Matteo Polignano, Amalia Hot Nog, Gaia Lecci classe III D
Redazione
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