La campagna vaccinale, la lotta al virus, la barra dritta sul super green pass, gli obiettivi centrati del Pnrr, il ruolo da protagonista in Europa, il sogno sfumato del Quirinale. Sono questi i principali ‘ingredienti’ del primo anno di Mario Draghi a Palazzo Chigi (il governo è nato il 13 febbraio 2021). Un anno da premier a capo di una maggioranza così variegata che chiunque faticherebbe a tenere insieme. Chiunque ma non lui, il “nonno al servizio delle istituzioni”, forse la definizione che meglio si adatta all’ex numero uno della Bce che di sfide in 75 anni di vita ne ha affrontate tante, tantissime, senza mai tirarsi indietro. Dopo il sogno sfumato del Colle, Draghi punta dritto al 2023 e non si lascia tirare per la giacchetta. A chi lo vorrebbe in campo anche dopo il termine della legislatura nel 2023, risponde per le rime ricorrendo all’ironia: “Lo escludo. Tanti politici mi candidano a tanti posti, mostrando una sollecitudine straordinaria nei miei confronti. Li ringrazio molto, moltissimo, ma vorrei rassicurarli: se dopo questa esperienza deciderò di lavorare, un lavoro probabilmente me lo troverei da solo…”. Formazione gesuita, romano di nascita, la vita lo ha messo a dura prova molto presto, lasciandolo orfano a soli 16 anni. Figlio di un funzionario della Banca d’Italia e di una farmacista, sin da piccolo ha la passione per i numeri, “bravo ma non secchione, passava sempre i compiti in classe”, raccontano oggi i suoi compagni di scuola. Studia a Roma ma si specializza negli States, a Boston, al Massachusetts Institute of Technology. Tanti anni dopo per gli americani diventerà ‘the unitalian’ proprio per quel sembrare, quanto meno ai loro occhi, così poco italiano. “Where is Mario?” era solito chiedere il presidente statunitense Barack Obama agli uomini del suo staff nei momenti più critici per l’economia del Paese, chiamandolo al telefono per un consiglio, un parere, un consulto. Ribattere a Mario Draghi, del resto, è impresa ardua anche per i più preparati, perché è uomo scrupoloso, prima di sedersi al tavolo studia i dossier con una precisione quasi maniacale. Rigorosamente in solitudine. Pochissimi, infatti, gli uomini di sua fiducia: “più di uno, meno di due, incluso egli stesso”, la battuta che lo ha accompagnato in questo primo anno a Palazzo Chigi. Nel segno di “whatever it takes”, probabilmente l’espressione più inflazionata dell’anno che ci lasciamo alle spalle.Di certo lo è quando si parla di Mario Draghi: presidente del Consiglio da febbraio, difficile trovare un consesso internazionale in cui un capo di Stato o di governo non abbia richiamato la celebre frase con cui, nel luglio 2012, l’allora numero 1 della Bce si dichiarò disposto a tutto pur di salvare l’euro. La stessa motivazione che lo ha mosso il 3 febbraio scorso, quando accettò l’incarico, con riserva, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dando vita nell’arco di 10 giorni a un governo di unità nazionale che vede coinvolto quasi l’intero arco parlamentare, fatta eccezione per Fdi di Giorgia Meloni. Il ‘Whatever it takes’ del 2021 è declinato non alla situazione monetaria dell’Europa ma al Paese alle prese con la pandemia e un’economia costretta a fare i conti con una battuta d’arresto senza precedenti. C’è il testimone della campagna vaccinale da raccogliere, e quello -non meno importante- del Next Generation Eu, con ingenti risorse per l’Italia ma con l’imperativo di ‘fare i compiti a casa’, altrimenti le tranche degli stanziamenti da Bruxelles non raggiungeranno mai Roma. E il treno sarebbe perso. Mattarella individua in Mario Draghi l’uomo giusto. Il 25 febbraio Draghi partecipa al suo primo Consiglio europeo, rigorosamente in videoconferenza per via di una pandemia che non arresta la sua corsa, e segna subito un cambio di passo, spronando i leader europei ad accelerare sulle somministrazioni sui vaccini ma, soprattutto, ad adottare la linea dura con le aziende che non rispettano le consegne, valutando anche la possibilità di acquistare le fiale fuori dal Vecchio Continente. Intanto, in Italia, il governo Draghi vara il suo primo Dpcm in continuità con quelli del precedente esecutivo: le condizioni per allentare la stretta non ci sono. L’attesa riapertura degli impianti sciistici viene rinviata, le scuole dell’infanzia -prima escluse dalle chiusure- tornano a serrare i cancelli nelle zone rosse. Il premier non partecipa alla conferenza stampa, la prima del suo esecutivo: lascia che a parlare delle misure siano, per il governo, i ministri Roberto Speranza e Maria Stella Gelmini. Febbraio e l’avvio del governo vengono segnati da un dramma che colpisce il nostro Paese: l’attentato a Goma, in Congo, nel quale perdono la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e l’autista del convoglio Mustapha Milambo. Il mese si chiude con la nomina di Fabrizio Curcio a Capo del Dipartimento della Protezione Civile: Curcio prende il posto di Angelo Borrelli, il cui mandato è in scadenza a marzo.