domenica, Maggio 12, 2024

Cinema, Vito Zagarrio presenta il suo ultimo libro su Stanley Kubrick “A occhi chiusi e spalancati”

Intervista con il docente universitario, critico cinematografico, saggista e regista che ci ha raccontato il suo profondo rapporto con la settima arte

Vito Zagarrio dietro la macchina da presa
di Alessandro Ceccarelli
Vito Zagarrio è un uomo discreto e mite e allo stesso tempo “un fiume in piena” quando si parla di cinema. Il motivo è semplice, da quasi cinquant’anni si occupa con passione della settima arte. E’ professore ordinario del Settore Scientifico Disciplinare L-ART/06 (Cinema, fotografia, televisione) presso il Dipartimento di Filosofia, comunicazione e spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre; si è laureato nel 1975 in Lettere presso l’Università degli Studi di Firenze (dove è nato nel 1952) e ha ottenuto poi un Diploma di Regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma; si è perfezionato nel 1983 con il Master of Arts di New York dove ha conseguito nel 1995 il PhD in Cinema Studies. Con questa non indifferente preparazione ha iniziato ad occuparsi trasversalmente di quello che riguarda la celluloide. Ha girato 17 documentari (tra il 1979 e il 2002), ha scritto 19 saggi e monografie, diretto 9 cortometraggi (tra il 1975 e il 2003) ed infine per “chiudere il cerchio” ha diretto quattro lungometraggi: “La donna della luna” (1988) con l’attrice australiana Greta Scacchi, “Bonus Malus (1993), con Claudio Bisio, Giulia Boschi, Felice Andreasi e Leonardo Pieraccioni, “Tre giorni d’anarchia” (2004) con Enrico Lo Verso e Renato Carpentieri, e “Io, nel gioco delle seduzioni” (2021) con Andrea Renzi”. Abbiamo avuto un lungo colloquio telefonico con Vito Zagarrio in cui ci ha parlato del suo ultimo libro in uscita su Stanley Kubrick: ci ha illuminato su alcuni suoi libri scritti in passato che sono stati aggiornati e soprattutto ci ha raccontato il suo amore per il cineasta del Bronx e anche del cinema italiano.
Hai terminato di scrivere il tuo ultimo libro sul regista statunitense Stanley Kubrick scomparso nel 1999. Ce ne vuoi parlare?
R: Il libro dovrebbe uscire alla fine di marzo per Dino Audino, e non è il primo volume che scrivo per questa casa editrice specializzata sul cinema. All’inizio degli anni Duemila avevo pubblicato “Overlooking Kubrick” che era un libro a mia cura in cui mettevo insieme tutta una serie di saggi di famosi studiosi in occasione di una serie di convegni universitari dedicati a Stanley Kubrick quando era ancora vivo. Attualmente questo libro è introvabile, per cui lo scorso anno è stato fatto una sorta di “remake” con alcune cose vecchie tagliate e altre nuove su giovani che hanno lavorato sul regista come Enrico Carocci ed Elio Ugenti.
Dato che Kubrick è scomparso nel 1999, a distanza di 23 anni, cosa ha lasciato il regista nativo del Bronx nella storia del cinema per stile e linguaggio?
R: Ho deciso di fare un ulteriore libro di un centinaio di pagine su Kubrick proprio sulla regia. Mentre spesso si è parlato di lui nella storia, nella letteratura e per la retorica del linguaggio e l’aspetto ideologico; è stato scritto poco sulla regia e sulla sua grammatica cinematografica. Dedico infatti proprio su questo aspetto il libro che ho suddiviso in capitoli per ogni film che ha diretto (ad esempio per “Shining” (1980) è la steadycam, “Barry Lyndon” (1975) è lo zoom). Quello che resta del cinema di Kubrick è una grande lezione di regia. L’artista statunitense è davvero un “film-maker” totale a partire dai primissimi film che come sai faceva quasi tutto da solo (erano da lui prodotti, diretti, scritti e montati) come ad esempio “Fear and desire” (1953) e “Killer’s kiss” (1954). Dopo cominciò a farsi aiutare dai direttori della fotografia e montatori noti. Kubrick sin dal primo lungometraggio sapeva girare perfettamente per conto suo e usava sempre il suo obiettivo per scegliere e capire le inquadrature giuste. Era un fanatico dell’inquadratura e della sua precisione. Era abilissimo nell’uso della soggettiva e per l’uso dello sguardo in macchina, l’impiego dei movimenti di macchina come fattore della narrazione (come l’abilissimo uso della macchina a mano in “Arancia Meccanica). Kubrick era in definitiva un grande maestro di cinema. Era un artista interessato anche all’aspetto ideologico, come ad esempio la sua critica contro gli Stati Uniti che si può notare in tanti film. Era un cineasta molto interessato al rapporto con il testo letterario, quasi tutte le sue pellicole sono tratte da opere letterarie (da “Rapina a mano armata (1956) all’ultimo “Eye wide shut” (1999).
Quale è secondo te l’apice creativo di Kubrick e quale è il suo film meno convincente, quello che in qualche modo ti ha invece deluso?
R: Per me il suo apice è “Full Metal Jacket” (1987), quello che io amo di più perché lo si può leggere da tanti punti di vista (l’aspetto politico, il film di guerra, per la psicanalisi (parla esplicitamente di Jung per la dualità bene-male). Quello meno riuscito è forse “Barry Lyndon” (1975). E’ un film molto edulcorato, bellissimo dal punto di vista della fotografia; però in fondo è un grande affresco sulla storia che a me colpisce meno. Lo stesso ultimo lungometraggio “Eye wide shut”(1999) contiene degli spunti interessanti sulla dualità dell’uomo anche se morì prima di completare il montaggio.
A mio avviso i film che mi hanno molto colpito sono stati “Orizzonti di gloria” (1957), forse la sua prima prova ambiziosa e “2001: Odissea nello spazio” (1968). Vorrei sapere il tuo punto di vista su queste due opere.
R: Sono d’accordo con te, si tratta di due film molto importanti. “Orizzonti di gloria” è il film di guerra per eccellenza: l’uso che Kubrick fa delle inquadrature, i primi piani su Kirk Douglas che diventa un personaggio epico durante il famoso attacco al “formicaio” con i soldati lanciati all’assalto che non guardano in macchina perché sono già morti. E’ un film bellissimo, commovente e classico, nel senso che se osservi le inquadrature sono di un rigore e di un’eleganza eccezionali. “2001” è un film sperimentale soprattutto nel finale del viaggio allucinante pieno di effetti speciali che oggi si possono fare “in final cut”. Però allora fu una trovata incredibile. Inoltre ci sono da segnalare gli aspetti tecnici della soggettiva, dello sguardo in macchina del personaggio principale. Mentre “2001” è un film esplicitamente filosofico (Parte con l’alba dell’uomo e finisce con la morte dell’uomo) “Eye wide shut” è apparentemente una storia d’amore che però dietro cela una filosofia della vita e l’ambiguità, sul dolore dell’esistenza e sulla doppiezza nei rapporti di coppia.
Due altri film interessanti di Kubrick, di cui almeno uno fu quasi sbalorditivo (“Il dottor Stranamore” (1963), una sorta di commedia grottesca sull’olocausto nucleare e l’altro, “Rapina a a mano armata” (1956) che con il montaggio all’epoca rivoluzionario ha in qualche modo ispirato tutto un certo cinema americano sino a Quentin Tarantino.
R: Dedico infatti un capitolo a “Rapina a mano armata” e lo inserisco in quello che viene chiamato “puzzle film”, come una sorta di esplosione della cronologia: il film comincia e poi torna indietro e poi va avanti. E’ una sorta di film a orologeria, come “Arancia Meccanica” (1971), una pellicola costruita perfettamente. “Stranamore” e “Arancia Meccanica” sono le prove più ideologiche di Stanley Kubrick. La pellicola con Malcolm McDowell è un film sulla violenza soprattutto contro le donne che è un tema attualissimo.
Sempre del grande cineasta statunitense volevo conoscere il tuo parere su altri due film; uno molto interessante (“Lolita”, 1962), la sua prima opera girata in Europa dopo la sua “fuga” da Hollywood; l’altro, originale, “Spartacus” (1960) che non controllò completamente in quanto prodotto dalla star Kirk Douglas.
R: “Lolita” è molto interessante dal punto di vista del linguaggio cinematografico. Anche in questa pellicola i personaggi hanno spesso lo sguardo in macchina, i piani sequenza all’interno della casa di Shirley Winters e nella seconda parte del viaggio del patrigno con la ragazza. Pensiamo inoltre al personaggio di Peter Sellers che poi ritorna in “Il dottor Stranamore”. “Lolita” è un altro suo film magistrale tenendo conto che “sfida” un testo molto importante del grande scrittore russo Vladimir Nabokov. Kubrick fa i conti con la grande letteratura. “Spartacus” invece è un grande film di azione, di combattimenti con grandi masse come in “Barry Lyndon”. Forse “Spartacus” non è un capolavoro ma c’è senza dubbio una costruzione dei personaggi ben fatta. Non dimentichiamoci però i primi film di Kubrick come “Il bacio dell’assassino”, dove c’è anche una citazione de “La finestra sul cortile” di Hitchcock, oppure il cortometraggio sulla boxe “Day of fight” (1951) in un bianco e nero elegante e raffinato. Poi è decisamente eccezionale “Fear and Desire” (1953, il suo primo lungometraggio, scritto, diretto, montato e fotografato. E’ una pellicola inquietante che precede di alcune cose “Apocalypse Now” di Coppola.
Ho sempre pensato che Stanley Kubrick fosse un artigiano del cinema. Secondo te quali sono stati i suoi punti di riferimento. Quali sono stati i registi che lo hanno influenzato all’inizio della sua carriera?
R: Kubrick ha avuto senz’altro due punti di riferimento: il cinema Europeo come concetto di autore, come l’espressionismo tedesco e il cinema di genere. Dallo sportivo (Day of fight) al genere di guerra (Orizzonti di gloria) al gangster movie (Il Bacio dell’assassino e Rapina a mano armata), il film in costume (Spartacus e Barry Lyndon), il Vietnam-movie (Full Metal Jacket), l’horror (Shining).
 A mio parere nella parte iniziale della sua carriera credo sia stato influenzato da Orson Welles, ovvero il grande virtuoso della regia del cinema statunitense.
R: Credo di sì, Orson Welles influenzò molto la generazione dei cineasti degli anni ’50. Il suo era un mondo autorale dichiarato, è raro che lui facesse film di genere. Opere come “Quarto potere”, L’orgoglio degli Amberson”, “Otello” e “Mister Arkadin” erano tutte prove d’autore. Orson Welles era l’autore per eccellenza. Kubrick invece partiva dal genere. Lui è stato molto influenzato e formato dalla fotografia. Molto importante anche il rapporto di Kubrick con la pittura, la letteratura e le altre arti.
Tornando al tuo ultimo libro in uscita, volevo sapere innanzitutto il titolo
R: “Ho scelto come titolo “A occhi chiusi e spalancati” che sarebbe la mia traduzione del film “Eye wide shut”. A occhi chiusi significa che il cinema è anche sogno e anche realtà (gli occhi spalancati) che rimanda anche allo sguardo in macchina così ricorrente nel regista americano. Vorrei anche darti notizia di altre cose su cui ho lavorato nel periodo del Covid. Da poche settimane è uscito un libro sul cinema italiano contemporaneo che a me interessa molto. Anche per difendere il nostro cinema che spesso viene bistrattato. Ho scritto un libro che si chiama “Nouvelle vague italiana”, un saggio pubblicato da Marsilio, ovvero il cinema del nuovo millennio. In questi ultimi vent’anni in Italia c’è un cinema di grande altezza, in cui parlo di Matteo Garrone, Paolo Sorrentino e anche dei giovanissimi registi emergenti. C’è un cinema di grande spessore, visionario e di grande capacità regista. Penso a talenti come il milanese Michelangelo Frammartino o il casertano Pietro Marcello. Sul terreno americano sono usciti un libro su Francis Ford Coppola, l’aggiornamento del Castoro uscito nel 1979. E’ in libro a cui tengo molto e si intitola “Un sogno lungo il cinema” per Rubettino Editore. Poi ti voglio segnalare un libro che non si trova facilmente ed è un volume in cui mi permetto di parlare di me stesso come film-maker. Come tu sai oltre a fare il professore e il critico ho scritto e diretto dei film e anche dei documentari. Si intitola “Eppure cinema, appunti di un regista irregolare”, infatti non solo un cineasta prolifico, ho fatto quattro film in trent’anni. Invece di fare un cofanetto con i dvd, ho scritto un libro con tre sceneggiature e interviste e saggi sul cinema di Gian Piero Brunetta, Franco Montini, faccio anche interviste ai miei attori (Greta Scacchi, Enrico Lo Verso, Claudio Bisio).
Come ultima domanda volevo chiederti se nella infanzia c’è stato quel film per cui tu hai detto ‘io nella vita voglio occuparmi di cinema’. C’è stato un film in particolare?
R: Un film che ha influenzato i miei sogni quando ero davvero piccolissimo è stato “L’uomo che sapeva troppo” di Hitchcock del 1956. Quando appare la pistola che deve uccidere l’ambasciatore, scappai dal cinema terrorizzato. Il film della mia infanzia fu “Otto e mezzo” di Fellini. Dopo aver visto quel capolavoro ho cominciato a collezionare le figurine dei registi.
Redazione
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