venerdì, Novembre 1, 2024

Editoria, condannato il giornalista Roberto Napoletano per false comunicazioni sociali: “Sono amareggiato”

I giudici della seconda sezione penale del tribunale di Milano hanno condannato a 2 anni e 6 mesi l’ex direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, imputato per aggiotaggio e false comunicazioni sociali nell’ambito dell’inchiesta per le presunte irregolarità nei conti del gruppo e per le copie ‘gonfiate’. “Sono amareggiato, moltissimo. Sono soprattutto innocente e farò appello. Gli atti di questo processo dimostrano in modo inequivoco che sul piano editoriale ho ricevuto un giornale sull’orlo del baratro e ho proseguito con risultati editoriali sempre positivi, in netta controtendenza rispetto al mercato, e soprattutto conseguiti in modo lecito”, le parole pronunciate dall’ex direttore Napoletano dopo la condanna. La corte ha riconosciuto la colpevolezza dell’attuale direttore de Il Quotidiano del Sud, condannato anche a 50mila euro di multa e a risarcire le parti civili – piccoli azionisti e dipendenti – (da liquidare in separata sede). Risarcimenti che in parte spetteranno anche al gruppo quotato, in quanto responsabile civile. Napoletano è stato assolto solo dall’accusa dalla vendita e riaffitto delle rotative (parte del capo a di imputazione), le motivazioni della sentenza saranno rese note tra 30 giorni. I giudici hanno in sostanza accolto la richiesta dell’accusa: il pm Gaetano Ruta, nella requisitoria del 7 aprile scorso, aveva chiesto una condanna a 4 anni sottolineando l’esistenza “di prove dichiarative e documentali molto significative” e di un danno, non solo legato ai numeri ma soprattutto di reputazione per “il più importante giornale economico italiano”. La decisione di falsificare il numero di copie digitali, a dire del rappresentante dell’accusa, “ha una rilevanza ai fini della rendicontazione (del bilancio 2015, ndr) e soprattutto della rappresentazione esterna”, ossia di valore percepito nei confronti del quotidiano di cui Napoletano “era amministratore di fatto o comunque contitolare di un potere tanto da riuscire a ottenere una buonuscita molto significativa qualora fosse stato licenziato, a dimostrazione di una relazione in cui poteva chiedere e ottenere”. Tesi respinta dalla difesa: gli avvocati Guido Alleva e Edda Gandossi avevano chiesto di assolvere “con formula piena” il proprio assistito che “non ha mai travalicato” la sua funzione e contro il quale non ci sono elementi “documentali o testimoniali”. L’obiettivo di Napoletano, per i difensori, “era espandere la base dei lettori, ossia che il proprio quotidiano fosse letto”, il suo sostegno al gruppo è “dal un punto di vista editoriale, non nella gestione dei numeri della società. Il sospetto che fosse a conoscenza di questa vergognosa truffa (di DiSource, ndr) è inaccettabile”. E a dipingersi come bersaglio era stato lo stesso Napoletano che lo scorso 14 aprile aveva preso la parola in aula per fare delle lunghe dichiarazioni spontanee. “Di quella presunta strategia diretta a ‘taroccare’ i numeri diffusionali – ammesso e non concesso che esista davvero a parte l’evidentissima truffa di DiSource che ha ideatori e realizzatori con nomi precisi – io sono estraneo totalmente, anzi ne sono la prima delle vittime perché toccava ai revisori aprire gli occhi non certo a me”, le parole con cui si era rivolto ai giudici.
Redazione
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