mercoledì, Maggio 8, 2024

Genova, Inizia oggi il maxi processo per la tragedia del ponte Morandi: 59 imputati alla sbarra

Inizia oggi il maxi processo per la tragedia del ponte Morandi di Genova, avvenuta il 14 agosto del 2018 e in cui persero la vita 43 persone. Omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Queste le accuse, a vario titolo, contro i 59 imputati ritenuti responsabili del collasso del viadotto della A10.  178 i testi, tra cui gli ex ministri Graziano Delrio e Antonio Di Pietro, l’attuale Ad di Aspi Roberto Tomasi nella lista presentata dai pubblici ministeri. l processo arriva dopo quattro anni di indagini, due incidenti probatori, terabite di file e documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza. “Sapevano e non intervennero, questa in estrema sintesi l’accusa di cui dovranno rispondere ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava della manutenzione e delle ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Per i pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, buona parte degli imputati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non fecero nulla. Aspi e Spea sono uscite dal processo patteggiando circa 30 milioni. In udienza preliminare il giudice aveva accolto circa 200 parti civili. Ma alla prima udienza potrebbero essercene altrettante a chiedere di partecipare al dibattimento. Tra questi anche il Comitato Ricordo vittime del ponte Morandi, escluso dal gup. Tra chi presenterà l’istanza ci saranno anche i titolari delle aziende che hanno subito, dopo il crollo, un calo del fatturato o un aumento dei costi ma che non rientravano nella zona rossa (sono le attività del Comitato zona Arancione). Per quanto riguarda i privati, ci saranno tutti quei cittadini che hanno patito una perdita di valore del proprio immobile. “Abbiamo tanta aspettativa – ha detto Egle Possetti, portavoce del comitato – ma anche tanta preoccupazione. Ci sono troppe parti civili che potrebbero chiedere il riconoscimento delle loro ragioni in sede civile. Ci vorrebbero norme che prevedano procedimenti diversi.  Questo è un processo che riguarda 43 morti, non è possibile che sia appesantito, l’iter processuale deve andare senza intoppi mentre così si allungano troppo i tempi e con il rischio che alcuni reati si prescrivano”.  “Che la verità processuale abbia una corrispondenza con la verità reale”, ha aggiunto Possetti. Il problema della capienza dato l’alto numero delle parti sarà risolto con un dibattimento ospitato in quattro aule contemporaneamente, in modo da garantire l’accesso a tutti. Ma per entrare nel vivo bisogna aspettare settembre, quando saranno sentiti i quasi 180 testimoni presenti nella lista dei pm Massimo Terrile e Walter Cotugno. Se per avere la prima udienza i famigliari delle vittime hanno dovuto aspettare quasi quattro anni pieni, il processo rischia di allungare i tempi e soffrire, nel tempo di una lunga serie di prescrizioni. Le prime, per i reati più lievi, sono previste a ottobre 2023. Prescrizione ma anche irragionevole durata del processo stesso come ventilato dal procuratore Francesco Pinto, che sarà presente domani in aula. “Il problema di fondo di questo processo – ha sottolineato Pinto – sarà la possibilità di rispettare i parametri costituzionali della ragionevole durata. Io auspico che tutte le parti si possano comportare tenendo conto di questo parametro di garanzia per le vittime e per gli imputati. Senza un tempo ragionevole non ci sarà giustizia degna di questo nome”. Inizia oggi il maxi processo per la tragedia del ponte Morandi di Genova, avvenuta il 14 agosto del 2018 e in cui persero la vita 43 persone. Omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e  omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Queste le accuse, a vario titolo, contro i 59 imputati ritenuti responsabili del collasso del viadotto della A10. 178 i testi, tra cui gli ex ministri Graziano Delrio e Antonio Di Pietro, l’attuale Ad di Aspi Roberto Tomasi nella lista presentata dai pubblici ministeri. Il processo arriva dopo quattro anni di indagini, due incidenti probatori, terabite di file e documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza. Sapevano e non intervennero, questa in estrema sintesi l’accusa di cui dovranno rispondere ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava della manutenzione e delle ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Per i pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, buona parte degli imputati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non fecero nulla. Aspi e Spea sono uscite dal processo patteggiando circa 30 milioni. In udienza preliminare il giudice aveva accolto circa 200 parti civili. Ma alla prima udienza potrebbero essercene altrettante a chiedere di partecipare al dibattimento. Tra questi anche il Comitato Ricordo vittime del ponte Morandi, escluso dal gup. Tra chi presenterà l’istanza ci saranno anche i titolari delle aziende che hanno subito, dopo il crollo, un calo del fatturato o un aumento dei costi ma che non rientravano nella zona rossa (sono le attività del Comitato zona Arancione). Per quanto riguarda i privati, ci saranno tutti quei cittadini che hanno patito una perdita di valore del proprio immobile. “Abbiamo tanta aspettativa – ha detto Egle Possetti, portavoce del comitato – ma anche tanta preoccupazione. Ci sono troppe parti civili che potrebbero chiedere il riconoscimento delle loro ragioni in sede civile. Ci vorrebbero norme che prevedano procedimenti diversi. Questo è un processo che riguarda 43 morti, non è possibile che sia appesantito, l’iter processuale deve andare senza intoppi mentre così si allungano troppo i tempi e con il rischio che alcuni reati si prescrivano”.  “Che la verità processuale abbia una corrispondenza con la verità reale”, ha aggiunto Possetti. Il problema della capienza dato l’alto numero delle parti sarà risolto con un dibattimento ospitato in quattro aule contemporaneamente, in modo da garantire l’accesso a tutti. Ma per entrare nel vivo bisogna aspettare settembre, quando saranno sentiti i quasi 180 testimoni presenti nella lista dei pm Massimo Terrile e Walter Cotugno. Se per avere la prima udienza i famigliari delle vittime hanno dovuto aspettare quasi quattro anni pieni, il processo rischia di allungare i tempi e soffrire, nel tempo di una lunga serie di prescrizioni. Le prime, per i reati più lievi, sono previste a ottobre 2023. Prescrizione ma anche irragionevole durata del processo stesso come ventilato dal procuratore Francesco Pinto, che sarà presente domani in aula. “Il problema di fondo di questo processo – ha sottolineato Pinto – sarà la possibilità di rispettare i parametri costituzionali della ragionevole durata. Io auspico che tutte le parti si possano comportare tenendo conto di questo parametro di garanzia per le vittime e per gli imputati. Senza un tempo ragionevole non ci sarà giustizia degna di questo nome”.

Altre tre inchieste

Dalle indagini sul crollo del ponte sono nate altre tre inchieste: quella sulle barriere fonoassorbenti pericolose, quella sui falsi report dei viadotti e sulle gallerie, tutte riunite in un unico procedimento che vede indagate oltre 50 persone, molte delle quali già coinvolte nel crollo del Morandi, oltre alle due società Aspi e Spea (queste ultime due potrebbero patteggiare come successo nel procedimento principale). Per questa seconda maxi inchiesta nelle prossime settimane la procura chiuderà le indagini e in autunno potrebbe iniziare l’udienza preliminare col rischio di accavallamento e di ulteriori ritardi.

Le proteste dei giornalisti

Televisioni da tutto il mondo hanno chiesto di accreditarsi ma il presidente del Collegio giudicante ha concesso riprese persoli dieci minuti e solo alla prima udienza per “evitare una spettacolarizzazione che potrebbe non rendere sereno e regolare lo svolgimento delle udienze”. Motivazione respinta e criticata da Ordine e sindacato dei giornalisti che hanno organizzato una manifestazione per oggi davanti al tribunale per dire “no a limiti al diritto di cronaca e al diritto dei cittadini a essere informati. Ma secondo il procuratore Pinto non c’è alcuna lesione del diritto di cronaca: “Vi è differenza tra diritto di cronaca, garantito, e  spettacolarizzazione. Il processo potrà essere seguito, non possiamo pensare a una giustizia chiusa dentro il palazzo. Però è anche vero che un processo di questo genere, con mille occhi puntati, rischia di essere completamente deformato dalla presenza costante di telecamere”.

Redazione
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