domenica, Maggio 12, 2024

Salta alla Camera la deroga al tetto di 240mila euro per gli stipendi per i dirigenti della Pubblica amministrazione

Salta alla Camera la deroga al tetto di 240mila euro per gli stipendi per i dirigenti della Pubblica amministrazione. La commissione Bilancio della Camera ha infatti approvato l’emendamento soppressivo – presentato dal governo – della norma introdotta ieri nel dl Aiuti bis dal Senato. Una decisione arrivata dopo che ieri, in Senato, era saltato il limite di 240mila euro di retribuzione massima per le figure apicali della PA. Nel testo approvato a Palazzo Madama si leggeva che “al capo della Polizia, al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, al comandante generale della Gdf, al capo del Dap, così come agli altri capi di Stato maggiore, nonché ai capi dipartimento ed al segretario generale della presidenza del Consiglio, ai capi dipartimento ed ai segretari generali dei ministeri è consentito, anche in deroga al tetto di 240 mila euro previsti per i manager pubblici, un trattamento economico accessorio”. Con l’emendamento proposto dal governo, il testo dovrà così tornare al Senato il 20 settembre. Il Capo dello Stato avrebbe giudicato inopportuna la norma sul taglio del tetto agli stipendi, attualmente fissato a 240 mila euro, e che regola il “Trattamento economico delle cariche di vertice delle Forze armate, delle Forze di polizia e delle pubbliche amministrazioni’. Il presidente Sergio Mattarella, si è appreso in ambienti parlamentari,  avrebbe anche lui espresso – in una conversazione con il premier Mario Draghi – perplessità su una norma “inopportuna”, soprattutto in un momento in cui gli italiani stanno faticando per la crisi energetica. Le modifiche al testo del decreto Aiuti bus, che domani arriva alla Camera per l’approvazione finale, hanno scatenato la bagarre politica. Carlo Calenda ha chiesto in mattinata che “nel prossimo decreto sull’emergenza energetica dovrà essere  riconfermato il tetto agli stipendi per i manager pubblici tolto ieri”. Per Letta c’è stato un “guaio assoluto e totale, uno schiaffo, visto che il dl Aiuti interviene per aiutare la parte più debole della società. Lo cambieremo”. Conte ha attaccato: la “norma votata” ieri da “FI, Pd e Italia Viva per far saltare il tetto dei 240mila euro l’anno dei mega stipendi degli alti dirigenti dello Stato è veramente vergognosa”. E mentre Pd, M5s e Italia Viva hanno annunciato emendamenti per modificare il testo, il segretario del Pd ha applaudito la presentazione di un testo dell’esecutivo: “Bene la posizione del governo su impegno a togliere articolo 41bis e reintrodurre il tetto sugli stipendi pubblici”, ha scritto su Twitter. E sempre sul social il leader del Movimento 5 stelle ha replicato: “Eppure l’avete votato, Enrico. Un bel tacer non fu mai scritto”. Ma come si è arrivati a far saltare – almeno per il momento – il tetto?  “Non avevamo alternativa a votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero i 17 miliardi di aiuti alle famiglie” dice il leader di Iv, Matteo Renzi, che il tetto lo aveva rafforzato nel 2014 a tre anni dalla sua prima introduzione, nel 2011, per mano del governo Monti. La colpa, dice implicitamente il Pd, è del Mef che ha “riformulato” un emendamento presentato in origine da Forza Italia e che, stando ai racconti dei senatori, non era comparso nelle innumerevoli riunioni per trovare l’intesa sulle modifiche da approvare e portare a casa il decreto. Con i fari puntati sul Superbonus, dunque la proposta di sforare il tetto dei 240mila euro sarebbe passata in sordina, senza che di fatto nessuno, perlomeno nelle commissioni, fosse pienamente consapevole della portata della misura. Il Mef però si chiama fuori, perché avrebbe dato solo un contributo tecnico sulle coperture.
Redazione
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