mercoledì, Maggio 15, 2024

Cinema: i 70 anni di Roberto Begnini: dalla campagna toscana ad Hollywood

A 70 anni, Roberto Benigni rimane un eterno fanciullo. Maschera della commedia dell’arte dietro cui si nasconde un uomo timido e sorridente, è un mattatore istrionico che continua a essere uno dei personaggi più amati dal pubblico. Comico, attore, regista, sceneggiatore, nato artisticamente come provocatore e ribelle, con la sua irruenza gestuale e verbale ha conosciuto il successo prima in teatro, poi in televisione e al cinema, con film premiati da giurie e botteghino. Tra modestia e duttilità, risulta impossibile inquadrare Roberto Benigni in un solo schema. Debutta nel 1971 a Prato come cantante e musicista ne “Il re nudo” diretto da Paolo Magelli; Carlo Monni e Marco Messeri lo tengono a battesimo in vari spettacoli d’avanguardia tra teatro di strada e invenzione comica. Sbarcato a Roma, incontra nel 1975 Giuseppe Bertolucci che scrive per lui il monologo di “Cioni Mario” che in breve diventa lo spettacolo di punta del teatro Alberico, punto di riferimento della scena off romana. Frammenti di quell’esperienza finiscono nel programma tv “Onda libera”, alias “Televacca”, mentre il suo primo exploit al cinema (sempre per mano del regista) è “Berlinguer ti voglio bene” del 1977. Nonostante le scoperte simpatie per la sinistra (a un raduno del giovani comunisti nel 1983 prese in braccio il segretario Berlinguer) la critica e i circoli intellettuali non lo ha mai accettato fino in fondo, forse avvertendo il pericolo della sua satira irriverente, della sua comicità popolare e immediata, del suo voler sempre stare lontano dalle regole. Diversa invece la reazione del pubblico, ogni volta più calda. Così in teatro con lo spettacolo a sketch “Tuttobenigni”; in tv con le irruzioni al Festival di Sanremo e a “Fantastico”, tra piccolo e grande schermo nel sodalizio con Renzo Arbore tra “L’altra domenica” e “Il Pap’occhio”. Nel 1983 si misura per la prima volta dall’altra parte della telecamera e debutta in punta di piedi con un film a episodi “Tu mi turbi” nella più limpida tradizione del cinema comico all’italiana. Con la complicità dell’amico Bertolucci scrive per sé e Massimo Troisi “Non ci resta che piangere” (1984), che frantuma ogni record d’incasso. Poi scappa e sbarca in America per farsi dirigere dall’amico Jim Jarmush con cui firma “Daunbailò” nel 1986, seguito da altri due lavori in cinque anni. Si misura poi col mito di Peter Sellers ne “Il figlio della pantera rosa” (1993) e torna in patria dove dal 1988 lo adotta Vincenzo Cerami. I due collaboreranno per sei volte dando vita a un sodalizio umano e artistico arricchito da Nicoletta Braschi: attrice-icona dell’uomo che diventa suo marito nel 1991. Insieme passeranno di successo in successo da “Il piccolo diavolo” a “Johnny Stecchino”, da “Il mostro” fino al trionfo de “La vita è bella” che vince l’Oscar per il miglior film straniero e regala a Roberto anche la statuetta come miglior attore. Nel mezzo c’è spazio anche per la collaborazione con Federico Fellini (e Paolo Villaggio) in “La voce della luna” (1990). Negli ultimi anni il connubio con Dante e la Divina Commedia ha portato Roberto Benigni su altri lidi, lontano dal cinema, mentre è stato insignito del Leone d’oro alla carriera a Venezia 78.
Redazione
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