venerdì, Aprile 26, 2024

Cina, Proseguono le proteste a Zhengzhou nella fabbrica degli iPhone: crolla la produzione dei cellulari

Proseguono le proteste a Zhengzhou, in Cina: le fughe di lavoratori dal vasto stabilimento produttivo del colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn, innescate dalle draconiane politiche di contenimento del Covid-19, hanno causato ricadute gravi sulla produzione dei nuovi iPhone di Apple, che potrebbe subire un crollo superiore al 30% nel solo mese di novembre. Le proteste inscenate dai lavoratori dello stabilimento questa settimana renderanno “impossibile” il pieno ripristino della produzione entro la fine del mese. Violenze e scontri nell’impianto – A riferirlo sono state fonti citate da Channel News Asia. Centinaia dei nuovi operai assunti dal colosso dell’elettronica hanno distrutto telecamere di sorveglianza e ingaggiato violenti scontri con il personale di sicurezza, esprimendo tutta la loro frustrazione per le misure prese nello stabilimento e denunciando ritardi nei pagamenti dei bonus salariali promessi dai dirigenti.
Gli operai: manca la sicurezza
Molti hanno affermato di essere stati costretti a condividere i dormitori con colleghi risultati positivi al coronavirus, lamentando la stessa mancanza di garanzie alla sicurezza che il mese scorso aveva spinto numerosi operai ad abbattere le barriere di contenimento issate intorno alla fabbrica e a darsi alla fuga, organizzata a piedi nel mezzo della generale paralisi dei mezzi pubblici provocata dalle restrizioni anti-Covid.
Foxconn tra paghe basse e turni massacranti
Prima dell’episodio, che ha riacceso l’attenzione pubblica sul più grande produttore di iPhone al mondo, Foxconn era già tristemente nota per le basse retribuzioni, i turni di lavoro massacranti e l’alto tasso di suicidi avvenuti nei suoi maxi-stabilimenti, che la dirigenza ha tentato di contrastare circondando gli edifici con enormi reti. Queste furono installate per la prima volta nel 2010, anno in cui 14 persone tra i 19 e i 28 anni saltarono dalle finestre di dormitori gremiti di operai. Le morti sono continuate anche negli anni successivi, sulla scorta di salari insufficienti a sostenere il costo della vita a Zhengzhou e dell’altissimo stress vissuto dai dipendenti durante il picco degli ordini.
La “tolleranza zero” contro il Covid nella fabbrica di Zhengzhou
A complicare le condizioni in un ambiente di lavoro contraddistinto dalle scarsissime garanzie offerte ai dipendenti è sopraggiunta l’emergenza pandemica con la relativa politica di “tolleranza zero”, che la fabbrica di Zhengzhou ha adottato cercando di non rinunciare ai suoi elevati livelli di produttività. Lo stabilimento dà infatti lavoro a 200mila persone e produce il 70% degli smartphone spediti da Apple in tutto il mondo. La maxi campagna di 100mila nuove assunzioni inaugurata dopo la fuga di massa dei dipendenti si è resa quanto mai necessaria soprattutto in vista dello shopping natalizio, su cui il colosso di Cupertino punta con convinzione per registrare il boom di vendite dei suoi modelli di iPhone 14 Pro e Pro Max. L’esigenza di contrastare il rallentamento economico nazionale ha spinto all’azione anche i funzionari della provincia cinese in cui sorge lo stabilimento, lo Henan, che hanno tentato di appellarsi al sentimento patriottico dei veterani dell’esercito in pensione per spingerli a lavorare alla Foxconn. Emblematico il caso dell’amministrazione della contea di Changge, che in una lettera aperta pubblicata sul social WeChat ha sollecitato gli ex militari a “rispondere alla chiamata del governo” e a “presentarsi dove necessario per contribuire al rilancio della produzione”.
Caos in fabbrica tra bonus e buonuscite
La campagna di reclutamento di massa è stata promossa da Foxconn a colpi di rialzi e bonus salariali per dipendenti vecchi e nuovi, ottenendo inizialmente i risultati sperati. Secondo quanto riferito alla stampa da un dipendente in condizioni d’anonimato però, la dirigenza sarebbe venuta meno ai generali termini del contratto per i neoassunti, che avrebbero dovuto beneficiare di un bonus di 419 dollari dopo 30 giorni lavorativi e di altri 419 dollari dopo un totale di 60 giorni. Di fronte alle proteste per il mancato adempimento degli obblighi contrattuali, la dirigenza avrebbe offerto agli operai freschi di assunzioni una buonuscita di circa 1.400 dollari: 1.199 per dimettersi immediatamente e circa 280 per salire a bordo di un autobus diretto verso casa. In una dichiarazione pubblicata giovedì, Foxconn ha tentato inoltre di fare chiarezza sulla questione, affermando che la controversia sui contratti era dovuta a un “errore tecnico” e che la retribuzione effettiva sarà “quella concordata e quella presente sui manifesti di reclutamento”.
Scende in campo anche Apple
La dirigenza ha avviato trattative con i gruppi di contestatori ancora attivi nello stabilimento e, secondo alcune fonti, avrebbe raggiunto un “consenso preliminare”. Nel frattempo l’imbarazzo ha raggiunto anche Apple, il cui personale “sta lavorando a stretto contatto con Foxconn per fare in modo che le preoccupazioni dei dipendenti vengano affrontate”. Le promesse sulla buonuscita sembrano quanto meno essere state rispettate. Durante una diretta live, un lavoratore ha dichiarato di aver ricevuto una parte del pagamento, mentre mostrava una lunga coda di operai in attesa del tampone prima di salire sugli autobus in partenza. Sempre in Cina, intanto, la Commissione sanitaria nazionale ha segnalato un record di 31.656 nuove infezioni, superiore al picco dei 29.317 contagi registrato il 13 aprile durante il lockdown di Shanghai. L’amministrazione di Zhengzhou farà la sua parte nel controllo dei focolai epidemici con un test diagnostico di massa di cinque giorni, tra il 25 e il 29 novembre.
Redazione
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