Il bilancio più pesante di quello che appare come un buco nel controllo amministrativo di un ente sono le tre giovani vite rovinate dall’esperienza di essere vittime di pedofilia.
Non commensurabile come gravità c’è poi il danno erariale che il Ministero dell’Istruzione vuole risanare rivalendosi sui responsabili.
La vicenda è quella di un bidello pluricondannato per reati di pedofilia che, nonostante il divieto di lavorare a contatto con i minori – deciso dai giudici dopo le condanne nel 1991 e nel 2005 – non è stato escluso dalle graduatorie per il reperimento del personale Ata, restando così nelle scuole e mietendo una nuova vittima nel 2014. Questa volta è stato un bambino in una scuola del centro di Roma a essere prima avvicinato con piccoli regali, poi seguito in bagno e molestato più volte.
Dalle indagini sono emersi i precedenti. La condanna per violenza sessuale del ’91 e quella a due anni e due mesi per gli abusi su una bambina in una scuola media della capitale nel 2005. È stato allora che è scattata anche l’interdizione perpetua dal lavoro a contatto con minori, oltre alla denuncia sporta dallo stesso dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Ed è la Corte dei Conti ora a esigere che quei soldi pubblici siano restituiti, in buona parte dallo stesso condannato, ma anche dalla dirigenza dell’Ufficio scolastico che lo ha lasciato in servizio. Intanto è l’Associazione Nazionale Presidi a chiedere una riforma della burocrazia e della pubblica amministrazione e un uso più efficace degli strumenti informatici che avrebbero permesso l’individuazione tempestiva di un possibile pericolo.