mercoledì, Maggio 31, 2023

In campo gli ingegneri di Roma, Cerri: “Prevenire le alluvioni con le nostre competenze”

Il rischio zero “non esiste”. Contro le alluvioni si può fare qualcosa: servono opere strutturali come dighe, argini o invasi, ma soprattutto bisogna lavorare sulla prevenzione e sulla mitigazione del danno. Formando i cittadini e gli amministratori locali. E’ questa la ricetta lanciata dall’Ordine degli ingegneri di Roma, attraverso il presidente Massimo Cerri, intervistato dall’agenzia Dire insieme al professor Francesco Napolitano, ordinario in Costruzioni idrauliche alla Sapienza di Roma e referente dell’area ingegneria idraulica dell’Ordine degli ingegneri di Roma, per fare il punto della situazione. La lunga intervista parte dal ruolo che possono giocare gli ingegneri nel caso di alluvioni come quella drammatica che ha colpito l’Emilia Romagna. “L’Ordine degli ingegneri della provincia di Roma- ha spiegato Cerri- porta avanti quelli che sono gli insegnamenti dell’approccio ingegneristico, anche rispetto ad eventi di questo natura. A partire dal tema del cosiddetto ‘risk assessment’, che parte proprio dalla misura preventiva prima ancora di pensare alla gestione degli eventi. l’Ordine ha strutturato delle unità e siamo stati fautori della creazione di un’associazione di volontari ingegneri per essere una costola della Protezione civile nella gestione di questi eventi. Inoltre abbiamo indirizzato la cultura della sicurezza a 360 gradi, mettendo le nostre competenze tecniche nella disponibilità delle Istituzioni e della politica, per avere un inquadramento della programmazione preventiva e della progettazione, e lavorando ad una diffusione culturale verso i territori e i cittadini, creando canali di comunicazione disponibili nella gestione di queste fasi emergenziali”. “Vivere a rischio zero è però impensabile– ha spiegato Napolitano- soprattutto se si parla del rischio idrogeologico in un Paese vulnerabile come il nostro. Quindi dobbiamo gestire il rischio idraulico. Per mitigare il rischio abbiamo due strade: o riduciamo la pericolosità, investendo e realizzando opere come dighe, argini, casse di laminazione, invasi, scolmatori e canali diversivi, entrando nel territorio con opere che costano tanto e che si impiega tanto per realizzare, oppure riduciamo il danno. Una misura non strutturale, quest’ultima, che parte dal capire dove, con che intensità e quando un certo evento può manifestarsi e arriva alle misure da mettere in campo per fare fronte, dal punto di vista emergenziale, alla situazione. Questo con un piano di protezione aggiornato e con la consapevolezza del rischio da parte della cittadinanza e di chi gestisce le diverse infrastrutture. Su queste cose si sta lavorando. In Italia si è deciso di investire molto forte sulle misure non strutturali come lo sviluppo della protezione civile, la capacità di monitoraggio del territorio o l’implementazione della rete radar nazionale”. “Le opere strutturali come dighe, argini, casse di laminazione, invasi, scolmatori e canali diversivi costano tanto– ha aggiunto Napolitano- Basti pensare che per una sola diga o un invaso si parla di centinaia di milioni di euro. E questo risolve un unico problema. Immaginiamo di fare questo su tutto il territorio nazionale, o di assumersi un rischio uniforme su tutto il territorio nazionale: sicuramente è qualcosa che non riusciamo a permetterci. La via è, quindi, quella di adattarsi e di mitigare. Su questo gli ingegneri che mitigano gli effetti devono giocare sempre più un ruolo da protagonisti”. Ma sono a rischio anche le nostre città? “Quando si parla di rischio di allagamento non dobbiamo solo pensare ai fiumi che esondano, come successo in Emilia Romagna- ha risposto ancora Napolitano- Questo avviene, ma per eventi di pioggia estremamente rari. Esiste un indicatore, che è il tempo di ritorno, che misura il tempo statistico che un certo evento impegna a tornare con la stessa intensità. Per l’Emilia Romagna si parla di tempi ultra secolari, 100 o 200 anni. In città, invece, le opere di drenaggio sono dimensionate per tempi di ritorno molto più bassi. Le fognature in tutte le città, ad esempio, per 10 o 20 anni. Questo significa che, statisticamente, annualmente da qualche parte un nubifragio intenso metterà in crisi una nostra città. E non perché cambia il clima, ma per le opere realizzate dall’uomo a terra, che sono insufficienti. Dal punto di vista normativo, per far fronte al cambiamento idrogeologico, si deve cambiare il modo in cui le acque si distribuiscono in città. Questa capacità di modificare il territorio, preservando la quantità di acqua che ‘ruscella’, è il tema dell’invarianza idraulica e idrogeologica che sta iniziando ad affacciarsi nella legislazione degli enti locali e delle Regioni. Nelle nostre città, purtroppo, da oggi a 30-40 anni questo tema si porrà con maggiore evidenza: perché stiamo continuando ad impermeabilizzare, perché le nostre opere sono state progettate qualche decennio fa, e quindi hanno un affaticamento e vanno ricostruite e perché il cambiamento climatico crea certamente un effetto”.

(Fonte: Agenzia Dire, www.dire.it)

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