venerdì, Maggio 3, 2024

Gender gap: in Italia se la donna ha un figlio, poi non trova più lavoro

Il gender gap colpisce anche la maternità. Disparità salariali e occupazionali che, per le donne, si accentuano dopo la nascita dei figli. Nonostante l’aumento del tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, i livelli sono inferiori alla media Ue. Un quadro che “limita le prospettive di crescita economica dell’Italia”, ha dichiarato la vicedirettrice generale della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli. Il divario di genere nel mondo del lavoro rappresenta un ostacolo per la maternità. In Italia, nei due anni successivi alla gravidanza, le probabilità che una donna non abbia più un lavoro sono doppie rispetto alle donne senza figli. Una differenza, rintracciabile almeno nei 15 anni dopo la nascita del primogenito, definita child penalty. A questo si aggiunge la disparità salariale, che nel nostro Paese si attesta intorno al 11%. Un livello “solo di poco inferiore a quello stimato per il 2012”, ha sottolineato Perrazzelli in occasione del convengo “Le donne, il lavoro e la crescita economica”. Il divario retributivo si manifesta immediatamente al termine degli studi: a un anno dalla laurea “è già pari al 13%”, mentre sale al 16% a un anno dal diploma. Dati positivi riguardano il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Dal 53,2% del 2012, di 20 punti inferiore rispetto all’indice maschile, si è passati al 57,3% nel primo trimestre del 2023. In dieci anni “è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini”, ha precisato la vicedirettrice. Si tratta del “livello più alto dall’inizio delle serie storiche”. Questa tendenza positiva rientra nel miglioramento della qualità del capitale umano. “Già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56% dei laureati ogni anno”, ha spiegato Perrazzelli. In aumento anche la presenza femminile nei corsi universitari STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics): “nel 2022 le laureate in discipline scientifiche e tecnologiche sono state circa il 20% in più rispetto al 2012”, sebbene siano “solo il 15% delle laureate totale”. Secondo la vicedirettrice, è il segnale che “vi sono ampi margini per ulteriori progressi in questo campo”. A crescere è anche il numero di donne negli organi di amministrazione delle aziende quotate: 43% nel 2022. Nel 2011, lo stesso dato si attestava al 7,4%. Perrazzelli ha però precisato che la maggiore presenza femminile in quest’ambito “non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere”. Infatti, le donne riscontrano ancora maggiori difficoltà nel raggiungere posizioni dirigenziali. A livello occupazionale, il tasso femminile si attesta al 51,1%, più di 18 punti in meno rispetto alla quota maschile nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni. Numeri che descrivono il secondo gender gap più ampio nell’Unione europea: l’Italia è dietro soltanto alla Grecia, dove la differenza percentuale è di oltre 19 punti. Nonostante i risultati positivi dell’ultimo decennio, l’indice di partecipazione delle donne al mercato del lavoro “si colloca ancora su un livello particolarmente basso nel confronto europeo, inferiore di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media Ue”, ha commentato Perrazzelli. La vicedirettrice ha anche sottolineato che questi dati sono più bassi di quelli fissati dall’Agenda Europa 2020, che “avrebbe comportato per l’Italia un sostanziale allineamento della partecipazione femminile alla media europea”.

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