di Giuseppe Iacoviello
L’insoddisfazione lavorativa in Italia è tra le più alte d’Europa. A rivelarlo è la European Social Survey, un’indagine che mette a confronto 30 Paesi europei, evidenziando come solo il 47% degli occupati italiani si dichiari molto soddisfatto del proprio lavoro, contro una media europea superiore di sette punti percentuali. Il divario con i Paesi del Nord Europa è ancora più marcato: in Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia e Belgio il livello di soddisfazione supera il 71%.
Le cause dell’insoddisfazione
Secondo il Rapporto nazionale della European Social Survey in Italia, presentato dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), la scarsa soddisfazione lavorativa nel nostro Paese è legata a diversi fattori. A pesare maggiormente sono bassi livelli di istruzione, contratti precari e ruoli professionali poco qualificati. Anche la cittadinanza influisce: i lavoratori stranieri, infatti, riportano un livello di soddisfazione ancora inferiore.
Un elemento cruciale è la flessibilità lavorativa. Come evidenziato dal presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, la possibilità di gestire l’orario e il luogo di lavoro incide significativamente sulla soddisfazione. L’indagine mostra che la percentuale di occupati italiani che si dichiarano altamente soddisfatti sale dal 47% al 68% quando hanno autonomia negli orari, mentre scende al 44,6% se non possono scegliere dove lavorare.
Italia e Nord Europa: un divario evidente
Rispetto agli altri Paesi, in Italia la flessibilità lavorativa è ancora un privilegio per pochi. Solo il 15,7% degli occupati può scegliere l’orario di lavoro (contro il 20,6% della media europea) e appena il 30,8% ha libertà sulla sede lavorativa (rispetto al 42,3%). Questa rigidità accomuna l’Italia ad altri Paesi mediterranei ed est-europei, come Grecia, Spagna, Bulgaria e Ungheria, mentre nel Nord Europa l’autonomia professionale è una realtà consolidata.
Le conseguenze della rigidità lavorativa
La scarsa flessibilità influisce soprattutto su lavoratori con bassa qualifica e contratti instabili, rendendo ancora più evidente il divario tra chi può godere di condizioni lavorative favorevoli e chi ne è escluso. Durante la pandemia, il lavoro da remoto si è diffuso rapidamente, ma ha beneficiato principalmente lavoratori con qualifiche elevate, mentre altri settori sono rimasti esclusi, aumentando le disuguaglianze.
Secondo il rapporto, colmare questo divario e garantire una maggiore flessibilità potrebbe migliorare la qualità della vita lavorativa degli italiani, avvicinando il Paese agli standard del resto d’Europa.