venerdì, Maggio 17, 2024

Strage di Bologna, confermato l’ergastolo per l’ex Nar Gilberto Cavallini

Sulla strage di Bologna la Corte d’Assise d’Appello ha confermato l’ergastolo per l’ex terrorista dei Nar, Gilberto Cavallini. Nell’attentato avvenuto il 2 agosto 1980 morirono 85 persone. La sentenza è stata letta dalla Corte dopo sette ore di camera di consiglio. L’imputato non era presente in aula. Gilberto Cavallini, detto Gigi e soprannominato il Negro (Milano, 26 settembre 1952), è un ex terrorista italiano, esponente del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari. È stato arrestato il 12 settembre 1983 a Milano e accusato di vari reati riguardanti l’attività terroristica del gruppo, tra cui l’uccisione del sostituto procuratore Mario Amato, assassinato a Roma il 23 giugno 1980, e la strage di Bologna. È stato condannato a nove ergastoli e attualmente è detenuto a Terni, in regime di semilibertà provvisoria. Nato a Milano e proveniente da una famiglia fascista, in gioventù Cavallini fu uno dei fondatori Boys SAN dell’Inter per poi abbandonare la vita di curva e dedicarsi alla militanza politica nelle file della destra, prima nella Giovane Italia e poi nel Movimento Sociale Italiano. Si iscrive a un corso di perito elettrotecnico all’Istituto Feltrinelli che però dovrà abbandonare, trasferendosi quindi in una scuola privata per poter prendere il diploma.Anche per età, destino personale e formazione, possiede una visione del mondo più solida e definita rispetto agli altri NAR. Si dichiara fascista, ben più che di destra o “anticomunista”.Frequentando l’area più estremista dell’ambiente missino milanese si rende responsabile di varie risse e pestaggi nei confronti di militanti di sinistra. La sua prima denuncia arriva nel 1974 per aver sparato a un benzinaio che si era rifiutato di fargli il rifornimento. Si rende poi responsabile del primo grave reato partecipando all’uccisione del giovane studente di sinistra Gaetano Amoroso, militante ventunenne del Comitato Antifascista. La sera del 27 aprile 1976, nel primo anniversario della morte del giovane di destra Sergio Ramelli, assieme ad altri due compagni del Partito Comunista (Marxista-Leninista) Italiano (Carlo Palma e Luigi Spera), Amoroso fu aggredito e accoltellato in via Uberti, a Milano da un gruppo di neofascisti provenienti dalla vicina sede del MSI di via Guerrini: Gian Luca Folli, Marco Meroni, Angelo Croce, Luigi Fraschini, Antonio Pietropaolo, Danilo Terenghi, Walter Cagnani, Claudio Forcati e Gilberto Cavallini. Mentre gli altri due restano lievemente feriti, Amoroso morirà due giorni dopo in ospedale per le ferite subite, il 30 aprile. Gli otto responsabili furono arrestati poche ore dopo il fatto, pare per una soffiata di un dirigente missino, e l’iniziale accusa di aggressione venne poi trasformata in omicidio premeditato (per la successiva morte di Amoroso) e tentato omicidio pluriaggravato (per il ferimento degli altri due militanti). Cavallini venne condannato a 13 anni e mezzo in primo grado per concorso in omicidio. Riesce però a evadere in circostanze rocambolesche durante un trasferimento al carcere di Brindisi: il 14 agosto del 1977, durante il viaggio in autostrada e in corrispondenza di Roseto degli Abruzzi, gli agenti addetti alla sua scorta fermano il cellulare per consentirgli di fare un bisogno ma, sfruttando un momento di distrazione dei militari, Cavallini si rotola nella scarpata ai bordi della strada e fa perdere le sue tracce. Latitante, riesce a raggiungere fortunosamente Roma dove si procura un falso documento ma, non avendo contatti sicuri, si affida allora a Massimiliano Fachini, leader di Ordine Nuovo in Veneto che lo sistema a Treviso, ospite di uno dei suoi luogotenenti, Roberto Raho. Per due anni vive lì sotto falso nome, Gigi Pavan, e di tanto in tanto viene mandato in missione a Roma dove stabilisce dei contatti con Sergio Calore, Paolo Aleandri e Bruno Mariani, tutti appartenenti alla neonata formazione creata da Paolo Signorelli, Costruiamo l’azione. Nel 1978, a Treviso, si fidanza con una ragazza, Flavia Sbroiavacca, figlia del titolare di una grossa agenzia di viaggi cittadina. Cavallini riesce a nascondere alla ragazza e ai conoscenti il suo stato di latitante, finanziato grazie a contributi raccolti tra i camerati e raccontando a tutti di essere un lavoratore pendolare alla Total, fabbrica di Padova. Solo nel 1980, quando la donna gli darà un figlio (Federico, in onore dell’imperatore ghibellino), Cavallini le confida di essere un evaso. Negli ultimi mesi del 1979 viaggia spesso tra Roma e il Veneto, per riciclare dell’oro rapinato da Egidio Giuliani l’8 ottobre ai danni di un gioielliere ebreo-libico, un certo Fadlun Mardochai, che verrà ucciso anni dopo dai killer di Gheddafi.

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