sabato, Maggio 25, 2024

Bimbo torturato ucciso a Milano, ergastolo per il padre Aliza Hrustic

La Corte d’Assise d’appello di Milano ha condannato all’ergastolo per tortura aggravata dalla morte voluta e maltrattamenti Alijca Hrustic, il 29enne accusato di avere ucciso suo figlio di 2 anni e 5 mesi nel maggio 2019. La Cassazione, il 13 gennaio, aveva stabilito che era necessario un nuovo processo di secondo grado per rivalutare le accuse di tortura e omicidio volontario, oltre a quella di maltrattamenti. E aveva annullato con rinvio la sentenza d’appello del marzo 2022 che aveva escluso il reato di tortura e, riqualificando l’omicidio volontario in maltrattamenti pluriaggravati culminati nella morte, aveva annullato l’ergastolo del primo grado e ridotto a 28 anni la pena per l’imputato. I giudici nell’appello bis hanno riqualificato i reati di omicidio volontario e tortura in quello di tortura aggravata dalla morte voluta. Se “il colpevole” del reato di tortura “cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo”, recita la norma. Da qui la condanna della Corte, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Paola Pirotta. I giudici hanno riconosciuto anche l’accusa di maltrattamenti nei confronti del piccolo. Già in primo grado per le accuse di omicidio volontario, tortura e maltrattamenti era arrivato l’ergastolo, a seguito dell’indagine della Squadra mobile e del pm Giovanna Cavalleri. La Suprema Corte, annullando con rinvio la condanna del primo processo d’appello a 28 anni, aveva descritto un quadro di “brutali” violenze: un “sistematico pestaggio, nonostante le condizioni di fragilità e minorata difesa del piccolo” e sofferenze “corporali” inflitte con “grave e prolungato patimento fisico e morale”, con “bruciature”, “morsi, calci, schiaffi, pugni” e un “trattamento degradante per la dignità del bambino”. Per la Corte il verdetto di secondo grado, che aveva riqualificato i reati e cancellato la tortura abbassando la pena, era “viziata da violazione di legge penale e da manifesta illogicità della motivazione”. La difesa, col legale Giuseppe De Lalla, aveva sostenuto che l’uomo “non voleva uccidere” il piccolo e che andava, dunque, condannato solo per i maltrattamenti e con il riconoscimento delle attenuanti generiche.

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