giovedì, Maggio 9, 2024

Una Porta Magica a piazza Vittorio

Da quasi tre secoli e mezzo la Porta Magica, con le sue iscrizioni e i suoi simboli alchemici ed esoterici, rimane un manufatto unico a Roma, ancora avvolto da un’aura di mistero. Entrando nei giardini di piazza Vittorio, frequentati sin dalle prime ore del mattino, bisogna cercarla in un angolo appartato dell’area archeologica dei Trofei di Mario, i resti di un ninfeo un tempo grandioso e ricco di vasche fatto costruire dall’imperatore romano Alessandro Severo. L’atmosfera meditativa e di ricerca spirituale che regnava sul posto nel Seicento sembra aver lasciato qualche traccia. La mattina presto non è raro imbattersi in gruppetti di persone che si radunano sullo spiazzo per allenarsi in discipline orientali. E il colorato multiculturalismo dell’Esquilino appare davvero il contesto ideale per questa strana Porta Magica. Senza sbocchi, murata in un blocco di terra e tufo, rappresenta un simbolo dell’alchimia, un complesso di pratiche e teorie che affonda le radici nell’antico Egitto e con una denominazione che deriva proprio dal termine arabo kīmiyā’.

Il marchese Palombara

Della Porta Alchemica, chiamata anche Porta dei Cieli o Porta Ermetica, rimangono poco chiare la funzione, la collocazione originaria e l’interpretazione. Poche le certezze: risale al 1680 e faceva parte di una villa che oggi non esiste più, appartenuta ad un personaggio singolare, il marchese Massimiliano Savelli Palombara. Brillante studioso di testi ermetici, biblici e cabalistici, letterato e poeta, ebbe una vita rocambolesca, che comprende l’arruolamento come soldato di ventura nell’esercito francese, un arresto, un rapimento da parte di un brigante, e poi le cariche pubbliche di Conservatore in Campidoglio nel 1651 e nel 1677.

Aspetto e simboli

La Porta Magica ha un aspetto piuttosto semplice. L’architrave, gli stipidi, e la soglia sono decorati con una serie di criptiche iscrizioni in ebraico e latino, e simboli alchemici. L’architrave è sovrastato da un disco scolpito e al di fuori della muratura. Sulla soglia è incisa la scritta “Si sedes non is”, che è un palindromo. Leggendolo da sinistra a destra e viceversa, ha un doppio significato: “Se siedi non avanzi” e “Se non siedi avanzi”, un messaggio destinato a chi volesse intraprendere la ricerca dell’elisir si lunga vita. A ‘sorvegliare’ la Porta Alchemica furono sistemate due sculture dall’aspetto grottesco in marmo bianco, personificazioni del dio egizio Bes. Di incerta datazione, non hanno nulla a che fare con l’antica villa ma furono rinvenute negli scavi del Quirinale di fine Ottocento, dove sorgeva un antico tempio dedicato alle dee Iside e Serapide.

La villa scomparsa

Circondata da orti e giardini, la villa del marchese Massimiliano Savelli Palombara era un’oasi tranquilla, uno spazio di studio e meditazione per indagare i segreti dell’alchimia. La villa e la porta abbondavano di iscrizioni e simboli arcaici ed ermetici. L’aspirazione dell’alchimista era la ricerca della pietra filosofale, che avrebbe potuto trasformare, o “trasmutare”, i metalli vili come il ferro e lo stagno in metalli puri come l’oro, e della creazione dell’elisir di lunga vita. La villa fu demolita dopo essere stata espropriata dal Comune di Roma nel 1873 per realizzare il nuovo quartiere Esquilino e la piazza da intitolare al re Vittorio Emanuele II. Proprio perché così unica nel suo genere, la Porta si salvò, venne smontata e posta nell’attuale collocazione pochi anni dopo. E’ ormai superata l’antica leggenda secondo la quale un giorno un viaggiatore entrò nella villa del Marchese di Palombara, alla ricerca di un’erba che gli consentisse di portare a compimento la trasmutazione alchemica. Ricevette ospitalità nel laboratorio del marchese e lavorò al suo esperimento. Ma il mattino seguente misteriosamente svanì, attraverso la porta, lasciando dietro di sé l’oro e alcune formule misteriose, testimonianze del successo della trasformazione. Non riuscendo a decifrarle il marchese decise di consegnarle ai posteri incidendo sulla porta la formula della pietra filosofale.

I Giardini Nicola Calipari

L’impulso ai lavori per la realizzazione del giardino a piazza Vittorio risale agli anni 1887/1888 in vista della visita ufficiale dell’imperatore Guglielmo II di Germania. A curare gli interventi fu Alfredo Kelbling, l’allora direttore dell’Ufficio Giardini. All’inaugurazione il giardino ricevette il plauso della stampa e  dei cittadini: era dotato di piante ornamentali esotiche, di aiuole con fiori, cascate d’acqua, cigni, laghetti, ponti rustici, colonne e capitelli. Si optò per l’ornamento di gusto romantico, recuperando dai magazzini frammenti antichi che furono poi dislocati tra gli angoli di verde. All’inizio del Novecento, il gruppo scultoreo realizzato da Mario Rutelli (1859-1941) che doveva essere collocato a piazza della Repubblica, subì la stroncatura della critica e dei romani che lo chiamarono “fritto misto” per via delle tre figure di tritoni, polipo e mostro marino avviluppati tra loro. Fu dirottato nei giardini dove si trova tutt’ora al centro di una vasca. Nel 1925 è stato aggiunto ai Trofei di Mario il “Monumento ai Caduti della guerra 1915-1918 dei rioni Esquilino, Viminale e Macao”, una lapide monumentale in marmo e travertino, progettata da Guido Caraffa e realizzata da Enrico Bai. Dopo anni di degrado, a seguito dell’insediamento del mercato, i giardini sono stati interessati da un imponente intervento di riqualificazione nel 2020 con il contestuale restauro della Porta Magica.

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