Il processo nato dal contestato permesso a costruire rilasciato nel 2015 per un terreno in via degli Ermellini, a Tor San Lorenzo, si è concluso con l’assoluzione piena dei sei imputati e la restituzione del terreno dissequestrato. A inchiodare il Comune di Ardea non sono solo le contraddizioni interne tra i suoi stessi uffici, ma la delibera n. 5192/1984 della Regione Lazio, che conferma in modo inequivocabile la classificazione del terreno come zona B3 – residenziale, smentendo la successiva (e tardiva) riclassificazione in zona F3 – verde privato attrezzato. La Regione Lazio, con le osservazioni approvate nel 1984, aveva definito la destinazione urbanistica dell’area in questione come edificabile a uso residenziale. Un dato formale, pubblico e mai revocato. Questo elemento è stato decisivo per la sentenza di assoluzione, dimostrando come il permesso rilasciato inizialmente dal Comune fosse corretto e coerente con le norme vigenti. A rafforzare ulteriormente la tesi della difesa è stata la testimonianza dell’ingegner Antonio Mura, ex dirigente dell’ufficio urbanistica del Comune, che ha confermato una prassi confusa e contraddittoria nella gestione delle pratiche edilizie: certificati discordanti, interpretazioni altalenanti, documentazione non allineata, tutto proveniente dallo stesso ufficio tecnico. La sentenza è chiara: nessuna responsabilità penale, nessuna truffa, né dolo. Solo un grave disordine strutturale nell’apparato urbanistico comunale, che ha finito per coinvolgere ingiustamente progettisti, tecnici e funzionari. Il terreno, dissequestrato, torna ora nella disponibilità della proprietà. Questa vicenda non è solo un caso giudiziario: è la fotografia di un’emergenza amministrativa. Un sistema urbanistico incapace di garantire certezza del diritto, che mette a rischio cittadini, professionisti e investimenti.