martedì, Agosto 5, 2025

Bengasi, lo sgarbo libico: respinto il ministro Piantedosi

Calano le luci della ribalta, si alza il sipario sulla solita commedia libica. In scena: una delegazione europea in cerca d’ordine in un Paese che dell’ordine ha fatto una bestemmia. Sbarcano a Bengasi – città spartita e spaccata – il commissario europeo alle migrazioni e tre ministri dell’Interno: greco, maltese e l’italiano Matteo Piantedosi. Accolti? No. Respinti al mittente come fossero bagagli smarriti. Il governo dell’Est – quello non riconosciuto da Bruxelles ma assai reale nei fatti, con quartier generale sotto l’egida del generale Khalifa Haftar – ha notificato ai gentili ospiti il divieto di soggiorno. Diplomazie senza visto. Colpa, dicono, di un “mancato rispetto delle procedure d’ingresso”. Tradotto: non vi abbiamo invitati, che cosa ci fate qui? A darne notizia è l’Afp, citando una nota secca, asciutta, perfino sprezzante, delle autorità di Bengasi. Gli europei, arrivati in aereo direttamente da Tripoli – dove avevano appena stretto mani e sorriso al governo “ufficiale” del premier Dbeibah, sostenuto dall’ONU – non avevano forse messo in conto che la Libia non è uno Stato. È un’arena. Due governi, due verità, nessuna bandiera comune. E così il gesto simbolico, l’ennesima passerella di buona volontà da Bruxelles, si è infranto contro la sabbia dura del realismo. A Bengasi, i ministri non sono stati né ricevuti né ascoltati: sono stati cacciati. “Persone non grate”, si legge nella nota. Come dire: non siete ospiti, ma intrusi. A Roma, Atene, La Valletta e Bruxelles si faranno le solite facce contrite, i soliti comunicati pieni di indignazione e spirito europeo. Ma la verità resta quella che ogni diplomatico, se onesto, sa già da tempo: in Libia non si mette piede senza bussare a entrambe le porte. E se una ti apre, l’altra ti spara. Benvenuti nel Mediterraneo, frontiera liquida d’Europa e pantano africano senza sponda.

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