Nell’Italia dove le carriere spesso si consumano nei corridoi, più che sui campi, la parabola di Gabriele Fargnoli ha qualcosa di antico e raro. Non parlo del gesto clamoroso, del salvataggio eroico che rimbalza sui notiziari per un giorno e si spegne il giorno dopo. Parlo della tenacia silenziosa, del mestiere fatto con umiltà, ogni giorno, con la schiena dritta. E dopo trent’anni di fiamme, sirene e turni sotto la pioggia, ecco che Fargnoli lascia il distaccamento di Cerveteri per essere nominato Capo Presidio del Senato della Repubblica. Una promozione, certo. Ma anche, e soprattutto, un riconoscimento a un modo d’essere servitore dello Stato. Dal 1991, data in cui indossò per la prima volta la divisa dei Vigili del Fuoco, Fargnoli ha servito senza réclame, senza selfie, senza urgenza di raccontarsi. Il suo è stato un lavoro fatto più di silenzi che di parole, come si addice a chi ha a che fare col pericolo e con la fiducia altrui. «È un onore e una grande responsabilità», ha dichiarato. Parole misurate, com’è nel suo stile. Ora sarà chiamato a garantire la sicurezza del Senato: non un teatro di fiamme, ma un palcoscenico ben più delicato, dove la discrezione vale quanto la prontezza. Perché lì, nei palazzi del potere, il rischio non si presenta col fumo nero, ma con l’ambiguità, l’abitudine, l’indifferenza. Fargnoli lascia Cerveteri con un commiato degno dei suoi anni di servizio: «Ogni giorno, grazie alla vostra dedizione, alla vostra professionalità e al vostro spirito di squadra, abbiamo garantito la sicurezza e il soccorso alla comunità». Lo dice ai suoi uomini, ai colleghi, alla piccola grande caserma che ha guidato con fermezza e umanità. E aggiunge: «Ricorderò sempre la solidarietà che ci ha uniti anche nei momenti più difficili». Oggi va al Senato, sì. Ma ci va con lo stesso spirito con cui usciva in intervento, col cuore saldo, la divisa sobria e l’idea — che pare oggi un’eresia — che il dovere venga prima di tutto. E mentre molti rincorrono la ribalta, Fargnoli porta la sua ombra lunga e dignitosa dentro il cuore della Repubblica. Sperando che, almeno lì, chi comanda ricordi cosa vuol dire servire.