Con l’aria assorta di chi porta sulle spalle non una nazione, ma una tragedia, Volodymyr Zelensky ha varcato ieri due soglie solenni. La prima, quella dorata del Quirinale, dove il Presidente Sergio Mattarella lo ha accolto con la compostezza di un notaio della Repubblica che sa misurare le parole senza per questo sottrarre loro peso. La seconda, quella meno dorata ma non meno grave, di Villa Barberini a Castel Gandolfo, dove lo attendeva Papa Leone XIV — nuovo in carica, ma non certo sprovveduto in diplomazia. “Benvenuto in questo palazzo,” ha detto Mattarella, “per ribadire la grande amicizia e il pieno sostegno dell’Italia all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina.” Un tono sobrio, degno della nostra Farnesina e della nostra coscienza storica. Ma soprattutto, un modo di dire all’Ucraina: “Noi ci siamo. Per quanto possiamo.” E poi la seconda scena, più carica di simboli che di diplomazia formale: il Presidente ucraino, in mimetica nera come un soldato che si rifiuta di spogliarsi della guerra anche sotto un cielo di cipressi e affreschi barocchi, stringe la mano al Papa, che gli domanda in inglese: “How are things going?” — come stanno andando le cose? Domanda retorica, certo, ma anche di una triste sincerità. Perché nessuno, nemmeno Dio — ammesso ci sia — potrebbe oggi rispondere a quella domanda con onestà senza abbassare lo sguardo. Leone XIV ha ribadito l’intenzione di aprire le porte del Vaticano a russi e ucraini per negoziati di pace. Intenzione nobile, ma già vista altre volte nella lunga trafila di guerre europee in cui il Papa offre, e i generali declinano. Zelensky ha ringraziato per tutto — anche per i bambini, “rubati dalla Russia”, ha detto. Parole gravi, durissime. Parole che sanno di esilio, di lutto e di memoria. Perché si può restituire un figlio, ma non si cancella il trauma d’essere stati un bottino. Eppure, in questo tour romano che ha visto Zelensky tra le mura secolari del potere laico e quelle spirituali, resta una costante: il bisogno disperato che il mondo non si dimentichi dell’Ucraina. Perché l’oblio, più della sconfitta, è l’unica vera morte di un popolo. L’Italia ha fatto la sua parte: Mattarella ha parlato come si conviene a un Presidente che conosce il prezzo della libertà. Il Papa ha parlato come solo i Papi possono fare: con parole che volano, ma che spesso non atterrano. La Storia, quella con la S maiuscola, ora osserva. Zelensky ha chiesto ascolto. Ha avuto applausi. Ma la pace — quella vera — è ancora altrove. E il mondo, come sempre, preferisce la speranza alla responsabilità.
Zelensky tra Quirinale e Vaticano: L’Italia ribadisce il piano sostegno all’Ucraina
