È uno di quei passaggi che sembrano piccole cose. Otto anni, due scarpini mezzo consumati, una foto con la maglia nuova e il sorriso grande come una curva. Francesco Alessandrini, attaccante etrusco — sì, etrusco, perché a Cerveteri la storia non è mai del tutto scomparsa — lascia la RIM per indossare la casacca della Lazio. Pulcini di prima fascia, il cartello dice così. Ma sotto c’è qualcosa di più. Lo ha visto, lo ha scelto, lo ha voluto Chicco Boccaccio, uno che ne ha visti tanti e che, quando fiuta un talento, non ha bisogno di troppi replay. Alessandrini ha la forza di quelli che nei tornei non si nascondono: ha fatto gol a grappoli, come si dice con parole da cronaca e cuori da bordocampo. Ma non è solo questione di reti: c’è quel modo di muoversi, di usare il pallone come se fosse un’estensione del corpo, come se fosse normale — a otto anni — vedere spazi dove gli altri vedono solo confusione. Fisico importante per l’età, certo. Piedi educati, pure. Ma soprattutto uno sguardo che sembra dire: “Fatemelo provare, poi vediamo”. È così che si comincia, nel calcio e nella vita. Con i piedi ben piantati su un campo che profuma ancora d’erba tagliata male, e la testa piena di partite sognate la sera, prima di dormire. A Cerveteri lo hanno cresciuto con attenzione, e forse anche con un po’ di orgoglio sottotraccia. Non capita tutti i giorni che uno di casa venga chiamato a Formello. Ma ora arriva la parte difficile. Perché il talento va allenato, la forza va dosata, la passione va difesa — anche da chi, magari, vorrebbe che un bambino di otto anni fosse già un professionista. Per ora, però, c’è la felicità semplice di un primo traguardo. Francesco corre con la maglia della Lazio, e il campo gli si apre davanti come una promessa. Poi si vedrà. Ma se esiste un’età in cui tutto è ancora possibile, è questa. E oggi, per lui, tutto è davvero possibile.






