giovedì, Agosto 7, 2025

Sinner nella leggenda: batte Alcaraz e vince Wimbledon

Se non fosse successo davvero, sembrerebbe un racconto da dopolavoro ferroviario. Uno di quei sogni raccontati davanti a un caffè in piedi, “hai visto che roba? L’azzurro che vince Wimbledon”. E invece è tutto vero, non c’è bisogno di pizzicarsi. Il tabellone dell’All England Club è lì, impietoso e magnifico: Jannik Sinner batte Carlos Alcaraz 4-6, 6-4, 6-4, 6-4. Non solo è il primo italiano a vincere Wimbledon, ma lo fa da numero uno del mondo. Una vetta che profuma d’altri tempi, ma con la freschezza dell’alba. Una finale che era già storia prima ancora del primo 15, una finale che ha mantenuto le promesse e non ha concesso sconti. Due ragazzi nati dopo il 2000 che giocano come vecchi saggi e giovani indemoniati. Tennis da salotto e da arena, colpi scolpiti e rincorse disperate, errori umani e miracoli sportivi. Il tutto in quattro set fotocopia nel punteggio, ma diversi nella tessitura. Il primo set lo prende Alcaraz, il solito Alcaraz da montagne russe. Parte piano, soffre, poi azzanna. Jannik era avanti di un break, ma lo spagnolo, con quel modo tutto suo di giocare come se stesse danzando sul fuoco, gli ruba due volte il servizio. Qualche smorfia, un’occhiata al box, ma niente drammi. La differenza la fa lì: Sinner oggi non si è mai smarrito. Nel secondo, l’altoatesino si rimette in carreggiata alla sua maniera: con ordine, con metodo, con una calma che sembra in prestito da un vecchio alpino. Break immediato, poi servizio tenuto con una regolarità quasi scacchistica. Non è solo la potenza dei colpi, è la geometria, la convinzione, la schiena dritta nei momenti in cui la racchetta può tremare. Il terzo e quarto set seguono uno spartito simile. Non è Alcaraz a calare – il ragazzo di Murcia ha fatto tutto quello che poteva –, è Sinner a salire di tono. Le diagonali si allungano, la prima di servizio torna a graffiare, le smorzate diventano rarissime per non dire inutili. Il pubblico, che sulle prime sembrava più propenso al fuoco d’artificio spagnolo, comincia ad annusare la possibilità dell’evento epocale e passa, quasi senza accorgersene, dalla parte dell’italiano. Poi c’è l’ultimo game. Lungo, sudato, interrotto dal brivido di un break che sembrava possibile. Ma no, Sinner tiene, e quando l’ultimo rovescio di Alcaraz finisce in corridoio, Jannik cade a terra, le mani sul viso. Non urla, non piange, non salta: si prende solo qualche secondo, come se stesse riguardando tutto da spettatore. Cosa resterà di questo 13 luglio? Tutto. La data, la maglietta fradicia, l’erba calpestata, il tricolore che sbuca dalle tribune. Ma soprattutto resterà la sensazione che questo ragazzo del 2001, cresciuto fra sci e rovesci, abbia scritto un pezzo di storia senza spocchia, con la naturalezza di chi ha talento e se lo tiene ben stretto. Come certi grandi musicisti che suonano Bach con le mani in tasca. Il tennis italiano, che per anni ha fatto la muffa nelle retrovie, adesso è al centro del salotto buono. Grazie a Jannik Sinner, campione di Wimbledon, numero uno del mondo, e – da oggi – leggenda azzurra.

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